Esame di inglese.
Ce l’avevo pronto da due anni. Non avevo mai trovato il coraggio di farlo perchè ad ogni appello ci sono almeno 200 iscritti e al solo pensiero di stare in un’aula, per quanto grande possa essere, con altre 200 persone mi viene da star male. Stamattina ho trovato il coraggio e alle 7.30 ero all’università (l’esame sarebbe cominciato alle 9.00), sono stata la prima ad arrivare in aula, mi sono messa in prima fila così tutto quello che sarebbe successo dietro non l’avrei visto. E’ una tecnica del cazzo, lo so, ma una sociofobica si deve pur arrangiare.
E’ andato bene, per il solito culo ovviamente. Devo aver fatto tante opere pie in questi anni se vengo ripagata con delle fette di sedere così generose in sede d’esame. Ho fatto l’esame con una bravissima, ma davvero brava, mica come me: tutta organizzata, precisina, smaniosa. Agli occhi dell’assistente (non giovane, per fortuna) sembravamo Keira Knightley (lei) e Nadia Rinaldi quando era ancora grassa (io). Penso sia anche questione d’età. Avere 26 anni all’università è essere vecchi, e anche se sono un’insicura cronica avere 6 o 7 anni in più dei miei colleghi mi dà una certa tranquillità derivante dall’esperienza (anche perchè non è la prima università che frequento, e questa, in confronto alla precedente, è una passeggiata, per quanto riguarda l’ambiente e il clima che si respira).
Un sentito grazie a tutti quelli che hanno collaborato a questo inaspettato successo:
- ad Anacleto, che mosso a pietà stamattina mi ha accompagnato (in realtà doveva fare dei lavori lì in zona, ma facciamo finta che non sia così) e quando sono uscita e gli ho comunicato il voto non mi ha chiesto se ero sicura e se avevo controllato bene;
- a Napo Orso Toro che alle 8.05 mi ha aiutato via sms con una traduzione in zona Cesarini;
- al mio micio, che durante il solito ripasso mattutino mi ha tenuta sveglia a suon di miagolii e fusa esasperate;
- a Sad Ass, contumace, in quanto non mi ha risposto all’sms in cui chiedevo aiuto, però mi ha risposto dopo 3 ore e mezza quindi lo perdoniamo:
- a Dorothy Parker, last but not least, perchè il testo da cui sono partita per l’esame è suo; l’ho scelto appositamente perchè l’adoro, perchè dice sempre le cose giuste al momento giusto e perchè ha immediatamente catturato l’assistente, probabilmente stufa di sorbirsi pezzi di Dickens e Stevenson, tanto che mi ha chiesto se potevo darle una copia del brano. Forse non è solo fortuna, è anche intelligenza, intelligenza di saper scegliere bene, ma è pur sempre intelligenza.
Questo il testo di Dorothy Parker:
To keep something, you must take care of it. More, you must understand just what sort of care it requires. You must know the rules and abide by them. She could do that. She had been doing it all the months, in the writing of her letters to him. There had been rules to be learned in that matter, and the first of them was the hardest: never say to him what you want him to say to you. Never tell him how sadly you miss him, how it grows no better, how each day without him is sharper than the day before. Set down for him the gay happenings about you, bright little anecdotes, not invented, necessarily, but attractively embellished. Do not bedevil him with the pinings of your faithful heart because he is your husband, your man, your love.
E questo un pezzo (non lo metto tutto perchè voglio i diritti d’autore!) della mia bellissima trascrizione fonetica da cui si partiva per l’esame, cioè non so se mi spiego.