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«I film di Emir Kusturica sono galassie incandescenti che bruciano l’ossigeno» scriveva Marco Lodoli negli anni '90 e mai definizione potrebbe risultare più appropriata se ci si riferisce a questa sorta di oggetto volante non identificato che s'intitola Arizona Dream, (ma in un primo tempo venne distribuito come il valzer del pesce-freccia), terminato dal cineasta slavo nel 1993 e visibile in Italia solo anni più tardi. In questa bella quanto sfilacciata pellicola un aitante Johnny Depp, chiamato in Arizona dallo zio Jerry Lewis, anziché costruirsi una vita di successo e affermazione sociale finisce nella corte di un gruppo di reietti, diventando parte dei loro stravaganti tragitti (e deliri). Faye Dunaway, assassina involontaria con un trauma infantile alle spalle, tenta continuamente di volare («per tutti, volare è un modo di sfuggire al senso di colpa», dice Kusturica); la figlia di lei Lili Taylor, soggiogata dal fascino materno, cerca di carpirne l'attenzione con reiterati tentativi di suicidio; un aspirante attore si prepara mandando a memoria i dialoghi dei film di Coppola e Scorsese o mimando scene di Hitchcock. Nella malinconica fiaba orchestrata dal regista il relitto d'una Cadillac scrostata si erge a monumento di un Sogno Americano che ha cessato d'essere slancio collettivo, tramutandosi nell'ombra di speranze individuali flebilissime, sul baratro di una quieta follia. Kusturica racconta d'essersi recato in America per sostituire Milos Forman come docente di cinema all'Università di New York e che una volta là si rese conto di quanto la sua visione degli Stati Uniti fosse falsata dall'immagine che gliene aveva fornito Hollywood, arrivando a concludere che, se voleva decriptare (almeno parzialmente) quel Paese, doveva filmare gli americani ai margini della leggenda, gli sconfitti che aveva incontrato e che vivevano catapultati in universi mentali spesso ai limiti della pazzia. L'opera - confusa quanto si vuole, ma piena di passione e d'immagini struggenti - offre a Faye Dunaway e all'immenso Jerry Lewis l'occasione di interpretazioni che vale davvero la pena di vedere: sono le loro prove migliori, almeno negli ultimi anni.
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