Cosa bolle sotto alla superficie del Sole? A domandarselo non sono solo gli scienziati: informazioni puntuali su ciò che accade nel cuore della nostra stella ci permetterebbero, per esempio, di prevedere con maggiore anticipo lo scatenarsi di tempeste solari. Ma come sondare l’attività in corso al suo interno? Fino a oggi le tecniche alle quali s’è fatto ricorso sono state per lo più quelle basate sull’eliosismologia, ovvero la misurazione del tempo di propagazione delle onde – un fenomeno analogo alle nostre onde sismiche – da un estremo all’altro del Sole. Ora però, grazie allo Helioseismic Magnetic Imager e all’Atmospheric Imaging Assembly, due strumenti a bordo della sonda spaziale Solar Dynamics Observatory (SDO) della NASA, gli astrofisici hanno a disposizione una nuova finestra sull’interno del Sole.
Un articolo uscito su The Astrophysical Journal Letters mostra infatti come la disposizione di alcune regioni ad alta emissione ultravioletta e X – presenti in superficie, sulla corona – rifletta la presenza di enormi agglomerati di materia in movimento nel cuore della stella: granuli veramente immensi, dal diametro pari a quello di Giove. «Immaginate una nuvola di palloncini colorati in volo. Seguendone il movimento», è la metafora adottata da Robert Leamon, ricercatore alla NASA e alla Montana State University, nonché coautore dell’articolo, «possiamo intuire cosa sta succedendo più in basso: il moto dei bambini che li reggono».
E se a tradire la presenza dei megagranuli ci pensano le regioni superficiali ad alta emissione, per gli agglomerati di materia meno imponenti gli scienziati possono comunque fare affidamento sullo Helioseismic Magnetic Imager. La distribuzione in profondità di granuli e supergranuli – strutture comunque di tutto rispetto, con diametro pari alla distanza fra New York e Los Angeles i primi, e a due volte quello della Terra i secondi – si riflette infatti nella disposizione, rilevabile da SDO, di regioni magneticamente bilanciate: vale a dire zone nelle quali il numero di campi magnetici orientati verso l’interno del Sole è pari a quello dei campi orientati verso l’esterno. L’analogia, questa volta, è con uno strumento in grado d’individuare dall’alto aree con un numero uguale di maschi e di femmine: pur senza poter vedere direttamente gli edifici che li ospitano, non sarebbe difficile indovinare distribuzione e dimensioni delle camere, delle case, dei palazzi e delle città nelle quali questi individui tendono a raggrupparsi.
«Accade di tutto, là sotto la superficie», conclude Scott McIntosh, primo autore dell’articolo, ricercatore presso il National Center for Atmospheric Research di Boulder, in Colorado. «Quello che abbiamo scoperto è un marcatore di quest’attività del sottosuolo. Una sorta di passaggio verso l’interno, così da non aver più necessità d’impiegare mesi per arrivarci».
Per saperne di più:
- Leggi su The Astrophysical Journal Letters l’articolo “Identifying Potential Markers of the Sun’s Giant Convective Scale“, di Scott W. McIntosh, Xin Wang, Robert J. Leamon e Philip H. Scherrer
Fonte: Media INAF | Scritto da Marco Malaspina