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un solo modo

Creato il 18 ottobre 2015 da Gaia

C’è un episodio, nel Vangelo, in cui “un tale” si avvicina a Gesù e gli chiede: maestro, cosa devo fare per avere la vita eterna? Gesù gli ribadisce tutti i comandamenti: non uccidere, non rubare, eccetera. Lui risponde: queste cose le faccio già, da sempre. Allora Gesù dice: vai, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e vieni con me. Il tizio si scurisce in volto, si prende male e se ne va, perché era ricco.

(Dal Vangelo di Marco)

Mi riservo di utilizzare questa storia ancora in futuro, perché secondo me è davvero emblematica dell’ambientalismo odierno, dell’ambientalismo moderato, l’ambientalismo del sacrificio tollerabile. Una versione moderna della storia potrebbe cominciare con un occidentale, o un qualsiasi rappresentante della classe media o alta ovunque nel mondo, che dice: maestro buono (o maestra buona), cosa devo fare per salvare il pianeta? Le solite cose, gli verrebbe risposto: non buttare via il cibo, non comprare cose che non ti servono, vai in bicicletta… Lo faccio già!, direbbe questo sollevato. La risposta del maestro, allora, potrebbe essere: una cosa sola ti manca, vivere senza petrolio. Questo significa niente automobile, quasi mai vacanze, provare a coltivare il cibo da te senza macchinari né fertilizzanti o pesticidi di sintesi, rattoppare a oltranza i vestiti, scordarsi lo smartphone, scordarsi di vedere ogni mese tuo figlio che vive all’estero, scordarsi i venti gradi d’inverno e l’aria condizionata d’estate… in realtà la lista che potrebbe fare questo ipotetico Gesù del ventunesimo secolo metterebbe in difficoltà anche il figlio di Dio: TUTTO quello che sostiene il nostro stile di vita, tutto quello che diamo per scontato deriva in qualche modo dai combustibili fossili. Compreso il computer da cui vi sto scrivendo.

Io oggi vorrei sfogarmi perché mi sento molto sola anche tra gli ambientalisti come me. Non voglio mettermi su un piedistallo: come dico sempre, sono perfettamente conscia delle difficoltà oggettive che incontrera chi deve sopravvivere, e crescere dei figli, e se dovesse rinunciare alla macchina o a internet o al cibo a buon mercato si troverebbe in seria difficoltà. Al tempo stesso, è davvero possibile vivere non solo con meno, ma anche senza quello che consideriamo indispensabile ma non lo è. Le vacanze non sono indispensabili; men che meno è indispensabile farle ogni anno. Non è indispensabile la carne, soprattutto quella industriale; buona parte degli oggetti che vi circondano probabilmente non vi serve, e, se vi serve, sicuramente ne avreste trovati di equivalenti usati.

Ma c’è dell’altro ancora: ho notato che anche chi sta costruendo questo stile di vita alternativo e si ritiene all’avanguardia, e quindi si pone implicitamente o esplicitamente come modello, dipende completamente dal petrolio. Soprattutto nelle zone rurali e montane, è quasi impossibile trovare un coltivatore biologico o biodinamico, un permaculturista o un vegano che non usi l’automobile o qualche altro mezzo motorizzato quotidianamente – e non abbia clienti che sostengono la sua attività e fanno altrettanto. Conosco persone molto attive nella produzione di cibo sostenibile che si muovono da un campo all’altro con l’automobile, e che tengono rapporti assidui non tanto con chi vive accanto a loro, che non li capisce, ma con amici affini che spesso vivono a decine di chilometri di distanza. Da una parte, il territorio è talmente malconcio e frammentato che è quasi impossibile coltivarlo in modo contiguo; d’altra parte, queste persone spesso viaggiano anche per piacere, hanno più di due figli, o tengono insomma comportamenti che violano le basi stesse, dichiarate, della loro vita. Queste cose ovviamente le fanno anche tutti gli altri, da cui ce lo si aspetta; ma se l’avanguardia è solo mezzo passo avanti rispetto alla retroguardia, come possiamo arrivare lì dove dobbiamo arrivare?

Mi dispiace se sembra che io giudichi; il fatto è che, a differenza di Gesù Cristo che parlava a nome di Dio, io più modestamente mi appello alla scienza. La scienza ci dice molto chiaramente che il consumo di combustibili fossili

1. non è sostenibile a questi ritmi perché stiamo consumando milioni di anni di lavoro geologico in pochi secoli

2. sta riscaldando il pianeta, letteralmente uccidendo i mari, cambiando il clima, riempiendo terra, aroa e acqua di sostanze tossiche e spesso cancerogene, mettendo in seria crisi la produzione di cibo e tutti gli ecosistemi della terra

3. sta contribuendo a mantenere un tenore di vita così alto che gli impatti si fanno sentire anche in altri ambiti, perché senza l’energia e il calore a basso prezzo forniti da petrolio, gas e carbone noi non potremmo avere così tanti oggetti, tecnologie così energivore, un’automobile a testa, case così grandi…

Inoltre, e questo è un punto più controverso, non esiste nulla veramente in grado di sostituire i combustibili fossili nella quantità e nel tipo di utilizzo attuale, e anche se ci fosse a lungo andare creerebbe problemi simili o addirittura peggiori. I blog cui solitamente vi rimando ospitano ampie discussioni su questo tema, che io non ho le competenze per trattare qui (già che ci sono ne segnalo un altro).

Ho letto più volte di scienziati che, davanti alle proprie scoperte su quello che i nostri consumi fanno al pianeta, entrano in crisi: piangono mentre espongono i risultati dei loro studi, vivono rapporti sempre più tesi con amici e familiari, diventano attivisti, si rifiutano di prendere l’aereo… In campi come questi, la scienza non può essere mero metodo e mera scoperta: lo scienziato è anche uomo, e la sua coscienza gli impone di trarre le debite conseguenze da quello che prima non sapeva, e ora sa.

Io sto provando a vivere non senza petrolio, perché non ci riesco, ma consumandone meno possibile. Riducendo quasi a zero il consumo di carne e pesce, allevando galline e comprando latticini locali, facendo esperimenti nella produzione di cibo più sostenibilmente possibile; consumando poca elettricità, riscaldando con la legna che almeno è rinnovabile (ma non il petrolio usato per tagliarla), facendo durare le cose più possibile e soprattutto restando quasi tutto il tempo ferma dove sono e spostandomi a piedi. Questo è il punto fondamentale: i trasporti – di persone, ma anche di merci. Qui casca l’asino. Non è solo nei trasporti che dipendiamo dal petrolio, ma sicuramente un futuro senza combustibili fossili a buon mercato non può essere un futuro in cui si va in macchina a fare due chiacchere con il contadino biologico in Austria, si va a vivere in un paese di tre abitanti con l’orto per tutti e si prende l’automobile per fare la spesa, si visita un ecovillaggio in Scozia o si coltiva un campo (biologico!) a trenta chilometri da casa. Siccome io non sono Gesù Cristo, non solo questo faccio fatica a dirlo in faccia a persone molto benintenzionate, ma le poche volte in cui lo dico ottengo più irritazione che una tacita ammissione di colpa. Oppure, mi faccio odiare. In generale, la risposta è: io non ce la farei a vivere altrimenti. Io devo vivere così. Quindi sei tu che ti sbagli.


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