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Un sorso

Da Occhidadonna

amanti - magritteEro così sola che all'appuntamento c'ero andata in anticipo. Per passare il tempo, m’ero messa a guardare i libri in offerta, al piano terra del Mondadori Multicenter, quello di Via Marghera. Gente in giro: chi chiedeva i prezzi, chi sceglieva il cd nuovo. Io in mezzo, a respirare vite di sorpasso, che magari ci si sfiora con le braccia, per la calca e senti presenza. Senti che non sei da sola. Che non ci sono solo le tue braccia ad agitarsi in mezzo all'aria. A volte basta questo po’. Quando sei in una città che non è tua e incontrare qualcuno che conosci, in quel pagliaio è un azzardo.   Faceva troppo caldo per stare sotto al cielo, avrei sudato, mi si sarebbe sciolto il trucco e "piacere"  sarebbe risultato timido, nella nostra prima stretta di mano. Quell'appuntamento al buio m’abbronzava di curiosità. Avevo voglia, di conoscerlo e mi sentivo davvero sola quella sera, quindi alla sua mail avevo risposto sì e sono andata. Quand'è arrivato, ero uscita un attimo prima, a far finta che ero appena arrivata anch'io.  "Piacere", stringiamo mani ferme: ci piacciamo. Chi era lo sapevo, ma era un nome che passava dalle bocche, di cui si parlava. Geniale, ricco d'iniziativa.  Carino e interessante. Simpatico, l'ho scoperto mangiando le tartine all'happy hour. Single, perché la malattia gli aveva portato via l'amore, ho saputo, dopo la prima birra. Ci teneva a precisare che la donna l'aveva trovata, quella giusta; l’aveva conosciuta al sud, quando aveva dieci anni in meno di oggi. Di questi tempi e a Milano, sarebbe stato rarità. Qui, un meridionale fa fatica a innamorarsi. Innamorarsi due volte, non lo so. Non è per diffidenza, ne per differenza di clima o di dialetto. Noi del sud cresciamo innamorandoci in riva al mare, al caldo che fa belli. Le parole del primo bacio s’azzittiscono, quando il sole s’intinge nell’acqua salata, e finisce di fare giorno. Il primo bacio ti finisce, mentre si spegne la luce del giorno. Ti tramonta nella bocca. Invece, ritrovarsi per esempio, rifugiati all'happy hour del Mondadori Multicenter, non è lo stesso. Non è nelle tue corde. Ci sono odori intorno, che non fanno la stessa tua magia. Alcuni colori proprio non ci sono, e la luce cambia natura e perché. Bello il posto, ma rende ideali gli incontri di lavoro, non è galeotto, per un bacio al limoncello. Credo. Una volta mi sono innamorata in ascensore, quindi come al solito la risposta la sa qualcun'altro. Io provo a farmi qualche ragione. So che a lui sembrava gli mancasse il mare, dietro ai miei capelli. Senza quello sfondo, non ero sirena che ti fa venire voglia di tuffartici dentro, e farti corto il fiato. E così gli sarà successo sempre, a lui che aveva scelto la donna della vita al sud. Il cocktail della sua pelle e la salsedine, l'avevano ubriacato a vita. Dopo ha solo provato rimedi, per farsi passare la sbornia.   Due ore a mostrare cervello, siamo stati. Le parole uscivano dalla mia bocca a cuore e lui si fermava proprio lì a sentirle: da dove uscivano. Mi sono ritrovata in taxi insieme a lui, senza rendermene conto. Eravamo usciti, passeggiavamo chiacchierando. Lui fa un cenno al tassista e saliamo. Gli dice la via di casa sua, immagino. Ancora parole e dietro i finestrini, Milano a mostrarsi di lato. Calda, come poche altre volte prima. Siamo entrati in una casa che era vuota. Non d’arredamento. C'era stato qualcuno che non c'era più.  Si sentiva che mancava. C’era assenza già dal pianerottolo.   L'eco delle vite che hanno lasciato questo mondo, è come una porta che sbatte all'infinito, a un volume così basso che devi essere attento, però la senti.  E’ un fiato che sbuffa una volta, appena passi l’entrata; un addio che cigola. Mancavano i suoi libri preferiti, perché c'erano gli spazi vuoti. E quegli oggetti che fanno personalità, mancavano. E gli odori. La casa profumava di nuovo. Come se non ci avesse mai abitato nessuno. Eppure una volta c’erano stati progetti e passi veloci, quelli delle belle notizie. Le foto di prima erano rimaste. La vita aveva smesso di lasciare tracce. Tutto faceva eco. I miei passi sul parquet si ripetevano e l'attesa del bacio certo, che ci saremmo dati dopo. Il suono delle sue labbra sul mio collo, che s’era allungato a prendermi, mentre io mi guardavo in giro imbarazzata, rimbombava in quei vuoti. L'eco mi turbava. Ogni rumore si ripeteva, e se è uno sbaglio, già alla seconda te ne accorgi: non potevo fare l'amore con chi l'amore lo sapeva, e non ero io. Mi baciava per bisogno. Mi toccava e io non ero. Mi sentivo cancellare nelle sue mani, come un’idea improvvisata. Come un abbaglio. Svanivo perché non ero lei. Ero un confronto fallito.   Ogni volta che mi guardava, mi spariva qualcosa: le mani, la bocca. Appena mi ha guardato le gambe, m'è sembrato di precipitare sul pavimento. Non c'ero quasi più. Gli occhi non glieli mostravo: avrei smesso pure di vedere. Ero la sua tristezza, la sua abitudine a non trovarla da nessuna parte. Mentre mi spogliava quasi vedevo le altre volte, immaginavo la sua delusione. Di quando apriva una camicetta e non trovava il neo di lei, spuntare dal pizzo. "Fermati" gli dico. "Non ti conosco" ed era vero, ma non sarebbe stato il primo, che prendevo con la voglia. Lui si ferma, perché non va neanche a lui, di scoprire che gli manca lei, su quel divano a guardarlo d'amore. M’avrebbe presa per istinto, per bisogno di sudarmi la voglia addosso. Così altre parole sostituiscono l'imbarazzo. Ne abbiamo di cose da dirci. Lui è sdraiato e sorride. Non attacca. Tutto sembra scivolargli addosso. Gli scivolo via con calma, senza attrito. Provo a rivestirmi e lui mi ferma. Mi prende le spalle e appoggia il mio seno sul suo petto. "Così è bello" mi dice e mi fa cenno di appoggiare il viso sul suo petto. Resto così: ad amarlo con carezze di pelle e ciglia che solleticano. Appoggiandogli gli occhi chiusi sulla spalla, come fanno gli amanti dopo l'amore. Le parole erano diventate leggere. Il volume era un soffio grato. Noi l'amore non l'avevamo. Eravamo entrambi nel dopo. Dopo la sua perdita, dopo la mia delusione di qualche giorno prima, dopo il patto con le nostre solitudini. Dopo anni a domandarsi "perché", così tante volte che t’accorgi che la risposta ce l'hai già e se non la trovi, è solo perché non ti piace. Eravamo dopo tutto. Allora l'ho amato di dopo, per un’ora. È stato bello. Intorno sentivo l'eco delle nostre memorie, dei nostri giorni belli e del vuoto che avevano lasciato. Si ripetevano gli addii, nelle orecchie del ricordo. Eravamo due che non sanno dove andare e si erano fermati così: nudi senza senso, e senza sesso; ad aspettare che cambiasse qualcosa. Mi ha chiamato un taxi. L'ho preso e ci siamo promessi di rivederci, ma era una frase d'educazione. Gli ho saputo leggere negli occhi un "meglio di no" e forse lui ha letto il mio. Non l'ho rivisto perché era triste. Lui con l'amore aveva già dato e preso. E perso. Aveva negli occhi la sua scelta giusta. Lui c'era riuscito a trovare la felicità in un abbraccio, e l'ultima volta s'era raffreddato di assenza per sempre. Non avrebbe più amato nessuna. Io ho avuto paura di occupare un posto freddo, un solco in un letto difficile, perché non c'entrava il mio profilo, in quell'altro. Non ci siamo più cercati. Ogni tanto ci penso a lui, a quella dolcezza, a quegli attimi d'amore che si siamo scambiati quella notte. È durato il tempo di berne un sorso appena, per toglierti la sete. È stato come andare a vedere dov’è accaduto un miracolo, sperando che capiti anche a te. E dopo, ti viene meglio, pregare.

 


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