Apriamo la nostra riflessione pedagogica dando voce alle parole di Epicuro che hanno scolpito, sulla pietra, l’alfabeto della Felicità come bene quotidiano di cui hanno diritto coloro che abitano sia l’emisfero australe, sia l’emisfero boreale. “Mai si è troppo giovani o troppo vecchi per la conoscenza della Felicità. A qualsiasi età è bello occuparsi del benessere dell’animo nostro. Chi sostiene che non è ancora giunto il momento di dedicarsi alla conoscenza di essa, o che è ormai troppo tardi, è come se andasse dicendo che non è ancora il momento di essere felici, o che ormai è passata l’età. Ecco perché da giovani come da vecchi è giusto che noi ci dedichiamo a conoscere la Felicità. Per sentirci sempre giovani quando saremo avanti con gli anni in virtù del grato ricordo della Felicità avuta in passato, e da giovani, irrobustiti in essa, a prepararci a non temere l’avvenire. Cerchiamo di conoscere allora le cose che fanno la Felicità, perché quando essa c’è tutto abbiamo” (*).
La stella cometa della Felicità irradia una luminosa scia eudemonistica a patto che pedali in tandem con la Singolarità.
Contro i pericoli della manipolazione e dell’asservimento, il principio di Singolarità sembra essere – per la donna e per l’uomo – l’ultima trincea della Felicità. Oggi delegittimata e irrisa in una stagione storica dove le globalizzazioni campeggiano da totem infallibili di predestinazione dei grandi processi di cambiamento del Pianeta. Parliamo della mondializzazione dei mercati (generati dai colonialismi economici) e dei monopoli dell’informazione mediatica (gli stampi di omologazione collettiva: l’alimentazione, l’abbigliamento, il fitness, il free time) che stanno impoverendo, giorno dopo giorno, le cifre della Singolarità. A partire dalle genetiche tre “i” del soggetto/Persona: l’irripetibilità, l’irriducibilità, l’inviolabilità. Le sole in grado di ergersi da antagoniste vinventi nei confronti dell’altra mostruosa faccia dell’umanità: il soggetto/Massa. Manipolabile, plastificabile e clonabile dai dispositivi di cui sono in possesso i totem del Mercato e del Mediatico.
In proposito, poniamo tre punti di domanda.
• La Singolarità è in grado di ispirare l’utopia di una Felicità dotata di una architrave di sostegno di nome progetto/Persona?
• La Singolarità è in grado di opporre il momento della differenza e della vitalità (emotiva, creativa, utopica) all’odierna catramazione delle conoscenze e dei modelli di vita collettiva?
• La Singolarità è in grado di opporre il momento dell’intelligenza critica e della moralità individuale al dilagante conformismo e manicheismo dei modi di pensare e di vivere imposti dall’industria dei consumi di massa?
Sono interrogativi epocali dove la Singolarità gode di una luminosa corsia preferenziale a patto che al gran ballo della Felicità indossi un duplice scialle.
LO SCIALLE DEL SERIO. La Pedagogia del “serio” porta per mano le giovani generazioni nei paesaggi della cultura e della cittadinanza. Questa avventura eudemonistica chiede coraggio esistenziale. Irrinunciabile, se si vuole che il “serio” si elevi a sguardo disincantato al cospetto degli scenari della vita. Capace di stanare e di denunciare – senza falsi pudori, stolte illusioni e ironico distacco – il mondo così com’è: popolato di maschere colorate di cupidigie, di farisaismi e di inganni che abitano i teatri della mondanità. Questo, il nostro teorema. Il “serio” è il solo sguardo intenzionale, dirompente e inattuale in grado di lottare/contro: contro il disimpegno e il conformismo intellettuale, contro l’intolleranza e la falsificazione etica, contro il cattivo gusto e la mutilazione estetica, contro lo sfruttamento e la discriminazione sociale.
LO SCIALLE DEL LIEVE. L’irrinunciabile repertorio che il “serio” offre alla Singolarità (la solitudine, la distanza, la rinuncia, il rischio: espressioni di uno spirito libero) potrebbe subire una curvatura iperindividualistica se non fosse orientato dall’utopia del “lieve”: espressione dello spirito dionisiaco. La lievità assicura ali demoniche per volare nei cieli della Progettazione esistenziale: la sola abilitata a dispensare cifre utopiche alla Pedagogia della Felicità. Dunque, il “lieve” è la bussola che invita a guardare lontano: sottraendo il “serio” dai fondali di una quotidianità sempre più asfaltata dallo spirito di pesantezza.
La Pedagogia del “lieve” funge da correttivo esistenziale nei confronti di una vita sia rinchiusa nei recinti della mera eccezionalità e della solitudine individuale, sia in ostaggio al presente storico e al suo spirito di gravità: disattenta e refrattaria alle frontiere che danno sguardo al lontano, all’altrove e all’inattuale. Il “lieve” assicura ali dionisiache per volare nei cieli della Progettazione esistenziale. La sola in grado di assicurare cifre vitali alla Pedagogia della Felicità: amica del gioco, della danza e del riso. Di più. Il “lieve” prende per mano il “serio”. E viceversa. Sia perché lo libera dalle possibili catene di modelli precostituiti e conformistici, sia perché gli impedisce di sognare un altrove come gratuita evasione dal qui, dal vicino, dall’oggi.
(*) Epicuro, Lettera sulla felicità (a Meneceo), Roma, Millelire, Stampa alternativa 1993 p.5.