Magazine Diario personale
Quanto avrei voluto dire qualcosa di più, e non semplicemente un "grazie mille".
Una mattinata come tante.
Quelle che ti svegli alle 7, fai colazione, apri le finestre e leggi un po'.
Una mattinata come tante, se non fosse che ti accorgi che hai una gomma del motorino a terra.
Cerco di mantenere la calma, la pace interiore che ho appena conquistato per il semplice fatto che è estate, ho mangiato una brioches alla crema, fuori c'è il sole e probabilmente potrò andare a nuotare all'aperto (dopo le rogne da ufficio e le parole da scrivere che dio solo sa quanto mi fanno incazzare quando non si incastrano come vorrei, come ho in mente).
Porto il motorino (anzi, spingo il motorino) dal meccanico e accadono due catastrofi ad opera del mio angelo salvatore: - mi preventiva una spesa di 100 euro tondi tondi, chè vanno cambiate tutte e due le gomme a questo Scarabeo che ha ancora quelle originali di 10 anni fa, diventate ormai liscie come l'olio - cosa meno grave, ma comunque da considerare, non ha la bicicletta da prestarmi per andare al lavoro.
Segue la terza consequenziale catastrofe:
Prendere il TRAM.
Ora.
"Prendere il TRAM" è una di quelle frasi effetto vintage, credo di averla pronunciata l'ultima volta la vigilia di Natale del 1994. Ovvero, pochi giorni prima dell'arrivo del suddetto mezzo.
Una considerazione oggettiva e condivisa nell'universo mondo dei pendolari da tram credo sia che bisogna avere del gran culo per riuscire a prendere "IL" tram in queste situazioni di emergenza. Senza alcuna conoscenza su orari e linee. Arrivando in un momento 100% random, in un luogo che ha come coordinata geografica solo un meccanico di quartiere.
Domanda:
Perchè proprio dove sei tu, in quel momento preciso, dovrebbe passare proprio IL tram, proprio quello di cui hai bisogno per arrivare in un raggio uguale o inferiore alla distanza di 1 km dal posto di lavoro?
Le probabilità sono alla stregua di una vincita alla Lotteria.
Mi avvicino alla fermata con un misto di timore, raccoglimento e fiducia nella vita (o in dio nel caso mi stesse guardando) .
Non capisco assolutamente niente della tabella orari e linee, incrociati come quelli della metro di Londra, solo con qualche colore di meno e con denominazioni di località anni luce meno cool (Gattaglio al posto di Notting Hill, per dire).
Chiedo informazioni ad una tizia con ricostruzione unghie motivo optical appena fatta, che mastica chewin-gum a bocca aperta e dotata di auricolare che lascia percepire un devastante mix commercial-discomusic, incluso Giggidagostino.
La tizia mi risponde: "Dovrebbe passare tra 5 minuti".
"SE passa".
Ah.
Esiste anche l'eventualità che non passi, il tram.
Alla notizia che dovrebbe passare dopo 5 minuti sembra tu abbia avuto abbastanza di quel culo necessario per fronteggiare la situazione. Poi, però, onde evitare di semplificare troppo le cose, quel tram che è previsto, perchè è segnalato dal tabellone, potrebbe decidere che oggi è una gran giornata di merda e non passare, e lasciarti lì ad aspettare a recitare qualche rosario. Adeguando la connotazione della sua giornata alla tua.
Sostanzialmente, di merda.
Invece.
Eccolo.
Parte una lunga serie di ringraziamenti, quasi come gli scrittori nell'ultima pagina dei libri: la tizia dell'auricolare, la provvidenza, la previdenza, il fato, la fortuna (vabbè, 100 euro di motorino a parte), il cappuccino che farò in tempo a prendere, appena scesa dal tram.
Poi. Un altro pensiero incombe.
Ennesima variabile aleatoria: il biglietto.
Ora.
La mia memoria a lungo termine mi ricorda le corse dal tabacchino a comprarlo, prima di salire, oppure un biglietto composto da 10 corse, con risparmio di 1 euro sul totale. Oppure, situazione più comune, salire senza biglietto e tenere d'occhio le fermate in caso di avvistamento del controllore.
Ovviamente non possiedo il biglietto, ho la tessera della Shell e della profumeria al massimo, e ovviamente non c'è un tabacchino dietro alle spalle.
La mia fortuna si è esaurita con l'arrivo del tram.
A 30 anni suonati, escludo la possibilità di scappare fuori se vedo un controllore alla fermata.
Per una questione di capire che no, non si fa. Soprattutto se hai più di 30 anni.
Immagino che dal '94 ad oggi l' ACT potrebbe avere installato la macchinetta per fare il biglietto direttamente a bordo.
Come in tutti gli altri paesi dell'universo.
Salgo.
La macchinetta chiede 1 euro e cinquanta, senza dare resto.
Io ho solo un pezzo da 10 euro.
D'accordo, concludo che scapperò di corsa dal controllore, fingendo 18 anni.
Se non riuscirò a scappare, sarà stata una giornata di merda da 160 euro, anzichè da 100.
Un signore mi si avvicina.
Un signore non tanto alto, di mezza età, vestito in modo strambo, con un accostamento di colori azzardato, giacchetta giallina e pantaloni in lino, un viso da persona buona, riservata, una borsa marrone molto usata.
Mi allunga un biglietto e mi dice: "lo prenda, la multa è 60 euro".
E io, mentre gli allungo i soldi: "grazie, ma glielo pago".
E lui: "no, non li voglio. Mi paga un caffè quando ci rivediamo".
Lo prendo, lo ringrazio, mi giro verso la tizia di Giggidagostino, che mi dice "di queste persone non ce ne sono più, ormai", mi rigiro di nuovo ed è sparito. Era appena sceso.
E io non ho fatto in tempo a salutarlo.
Quanto avrei voluto sapere qualcosa di più.
Quanto avrei voluto dire qualcosa di più, e non semplicemente un "grazie mille".
Io dico che la tizia di Giggi ha ragione, di persone così non ce ne sono più.
Ho pensato a lui, mentre bevevo il mio cappuccino, in silenzio.
In orario.
Senza dover scappare da nessuno.
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