Nun so che cazzo fa’! Nun so ‘ndo annà! Non posso tornà indietro, nun so come tornà indietro, che faccio, spacco lo spartitraffico in mezzo?
MARNERO @Sinister Noise, Roma, 13.02.2016
Io sono seriamente convinto che i Marnero siano tra i migliori esponenti attuali del… Come lo vogliamo chiamare? Postqualcosa cantato in italiano? Non vale manco la pena cercare definizioni. Per quanto la matrice resti il post-hardcore oscuro derivato da Refused e dintorni, i bolognesi sono una di quelle band inclassificabili proprio perché genuinamente italiane, dotate di un legame con la nostra musica del passato, dal folk al cantautorato fino al prog, nello stesso modo in cui possono esserlo i Rhapsody o gli Ianva, per citare due nomi che non c’entrano niente. Peraltro la città delle due torri negli ultimi anni ha partorito un’altra notevolissima formazione dai suoni diversi ma dal retroterra non così dissimile: i Nero di Marte.
Giungo tardi al Cbgb della Ostiense per ragioni lavorative, mi perdo i due primi gruppi (Mors Est Ianua Vitae e Tibia, sarà per la prossima, tanto sempre da quelle parti sto) e scendo sotto per gli ultimi pezzi dei Tomydeepestego, lunghi trip molesti e avvolgenti tra stoner e suoni più moderni e frammentati. La macchina del fumo si è inceppata e si esibiscono completamente avvolti dalle esalazioni rossastre. Il contrattempo tuttavia conferisce al concerto un’estetica da film di Corman che contribuisce all’atmosfera. I Marnero suonano buona parte dei pezzi del nuovo La malora, capitolo conclusivo della Trilogia del fallimento. Non l’ho ancora assimilato bene, forse mi sta piacendo ancora più del già splendido Il sopravvissuto, che nel 2013 era stato nominato a sorpresa in playlist disco italiano dell’anno. Mi aveva fatto piacere scoprire che c’era così tanta gente tra noi che fosse entrata in fissa con Il sopravvissuto; mi fa piacere vedere che c’è un bel po’ di gente stasera. E non sono l’unico a cantare alcune strofe a memoria. Non fanno assolutamente nulla di accessibile o lineare, tutt’altro. Sono urticanti, negativi, angoscianti, storti. Ed è esattamente quello che vogliono essere. La malora ha approfondito la vena torpida e onirica, rassegnata, suona più arioso, più imbevuto di post-hc psichedelico moderno. Lo show è però intensissimo e rabbioso, loro danno tutto, e quando te ne vai ti dispiace di aver approcciato il loro ultimo disco solo un paio di settimane prima e quindi di non esserti goduto le canzoni appieno. Quindi non vedo l’ora di ribeccarli.
BEESUS/ OTEHI @Zoobar, Roma, 12.02.2015
I Beesus sono il nuovo gruppo di Francesco Pucci dei The Wisdoom e questa è solo una data di un tour europeo lunghissimo organizzato in maniera tutta do it yourself per presentare il disco di debutto The rise of Beesus. Si vede che è un’operazione studiata a tavolino con calma; il quartetto suona con una compattezza tale da rivelare una preparazione solida. Nei commenti al recente pezzo di Charles sulla figura del musicista manager, un paio di voi hanno colto un punto importante. Collassata l’industria discografica come la conoscevamo un tempo, se chi si era fatti i soldi veri si è trasformato in manager di se stesso (il discorso sui gruppi di medio successo sarebbe molto esteso e complesso ma vi abbiamo già accennato), per le band giovani odierne, con un seguito underground ma comunque internazionale, nonché composte da “nativi digitali”, il DIY non è solo una scelta ovvia. È una scelta naturale. Come il black metal dei vecchi tempi ma con internet al posto delle lettere e delle fanzine. Non solo: rispetto a vent’anni fa, il gruppo underground che riscuote un successo apprezzabile di pubblico e critica, parte già dal presupposto che non camperà mai con la musica, quindi diventa altrettanto naturale tirare fuori il side-project cazzeggione giusto per vedere come va e divertirsi.Arrivo in tempo per gli Otehi, che avevo già visto di spalla proprio ai The Wisdoom, al Sinister. Fanno pure un pezzo nuovo, che conferma come, rispetto agli esordi, stiano tendendo sempre più verso il post-hardcore ossessivo alla Cult of Luna (soprattutto nelle linee vocali). Nell’attesa di capire quanto si siano spinti nel modificare il loro suono, i pezzi vecchi ti fanno agitare la testolina e scendere lo scotch con i loro riffoni doom canonicissimi ma sempre acchiapponi. I Beesus mi hanno fatto sentire vagamente anziano perché suonano un crossover che pesca da roba che era nuova di zecca quando io avevo abbondantemente superato i vent’anni. Lo sludge storto ed estremizzato (Beesus in dope), il doom dilatato tipico della band madre del chitarrista (Sonic doom/ Stoner youth) ma anche il nu metal più ragionato e meno cafone dei primi anni zero (6 ft under box). C’è un sound unitario di base ma alcuni pezzi, per quanto sempre immediati e coinvolgenti, appartengono a generi diversissimi (si sentono pure i Melvins qua e là). Non so se sia questo l’intento di partenza, perché sarebbe interessante ascoltare cosa uscirebbe con un amalgama maggiore di tutte queste influenze. (Ciccio Russo)