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Un tuffo nel blu

Creato il 28 marzo 2011 da Traveltotaste

Un tuffo nel blu

E’ strana la sensazione che provo quando sto andando giù, trascinata dai pesi, cercando di svuotare i polmoni dall’aria.

Ho sempre avuto difficoltà ad andare a fondo, galleggio senza fare alcuno sforzo e faccio una fatica enorme a lasciar andare il mio corpo verso il basso.

Quando l’acqua raggiunge il livello del naso, la prima sensazione è quella di soffocare, ogni volta, anche dopo aver fatto numerose immersioni. Allora chiudo gli occhi ed espiro per ritrovarmi in un altro mondo, dai suoni amplificati, le forme ingrandite ed i colori che variano in base alla luce da cui vengono colpiti.

Per giungere lì, in mezzo al canale di Suez, bisogna partire alle 3 del mattino, pagare una cifra non irrisoria e percorrere molte miglia nautiche. Quattro ore di navigazione durante le quali mi sono addormentata sul ponte ricavandone, all’arrivo, un rischioso raffreddore.

Di raffreddore non si può certo morire ma un subacqueo non può immergersi con il naso tappato ed il rischio era quello di perdere l’immersione.

Non poteva risolversi così quella giornata. Così, un po’ da incosciente, ho preparato l’attrezzatura, mi sono infilata la muta, mi sono tuffata nel blu e, al contatto con l’acqua, il naso si è improvvisamente liberato.

Il Thistlegorm era una nave mercantile britannica varata nel 1940 e affondata il 5 ottobre 1941 nel Mar Rosso, mentre stava aspettando di avere il permesso per attraversare il canale di Suez.

Un tuffo nel blu
Lunga 128 metri e larga 18, è affondata praticamente intatta se si esclude la poppa. La stiva numero 4 infatti era carica di munizioni e la sua esplosione ha causato il sezionamento dello scafo. Giace a circa 33 metri sotto il livello del mare e, da quando nei primi anni cinquanta Jacques-Yves Cousteau ne scoprì la posizione, è meta per molti subacquei.

Trovandosi in mare aperto spesso si verificano condizioni sfavorevoli ad un’immersione, come la forte corrente e la scarsa visibilità.

Durante la prima immersione si effettua il giro dello scafo ed io, rapita nell’osservare i pesci che si muovevano tra le lamiere ed i colorati coralli, sono riuscita a perdere il gruppo. Più che altro ho iniziato a seguirne uno che non era il mio. L’aiuto del mio compagno d’immersione mi ha riportata nella giusta direzione.

Nel corso delle seconda immersione, invece, si entra nelle stive della nave occupate da automobili, motociclette, generatori da campo, casse di fucili e due Rolls Royce blindate.

L’ambiente era certamente ricco di fascino inaspettato ma l’idea di trovarmi al chiuso con venticinque metri d’acqua sopra la testa, iniziava ad innervosirmi.

Tuttavia sono nota per essere una che si trova particolarmente a suo agio in acqua, è un po’ il mio elemento naturale. Perciò ho inspirato profondamente, relativamente alla necessità di mantenere il giusto assetto, ed ho continuato a seguire la guida.

Tutto è proseguito alla perfezione fino a quando non siamo entrati in una stiva un po’ troppo affollata di sub e, mentre il tizio che era davanti a me ha toccato il fondo con le pinne offuscando la visibilità a causa della sabbia sollevata, la guida è sparita dalla mia vista.

Che brutta la sensazione di morire. In una frazione di secondo, perché si è trattato di quel lasso di tempo anche se a me è sembrato infinito, sono stata presa dal panico e dalla paura di non riuscire ad uscirne viva. Nuovamente è intervenuto il mio compagno d’immersione che, con calma zen, mi ha afferrata per la rubinetteria facendomi capire che non ero sola ed indicandomi la via d’uscita.

Quello delle immersioni è un mondo fatto di magia. Una dimensione incantata dove ci si può muovere con leggerezza ed eleganza osservando i suoi abitanti da lontano, senza mai toccarne le dimore per non disturbare la loro vita così diversa dalla nostra.

Tuttavia, è anche un luogo a cui bisogna avvicinarsi con sospetto e timore, perché basta poco per non rivedere più la pelle azzurra del nostro cielo.



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