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Un viaggio nella Terra al tramonto

Creato il 22 agosto 2013 da Martinaframmartino

 

Un viaggio nella Terra al tramonto
Qualche tempo fa Fanucci ha ripubblicato i quattro volumi della saga della Terra morente di Jack Vance, libri che erano fuori catalogo da anni. A suo tempo ho scritto anche l’articolo di segnalazione per FantasyMagazine:

Veder arrivare ora in libreria un ciclo completo di opere di Jack Vance può far pensare alla voglia un po’ cinica di un editore di sfruttare l’ultimo momento di grande notorietà per lo scrittore. Non è questo il caso, Fanucci aveva già annunciato da mesi di voler proporre ai lettori più giovani romanzi che hanno fatto la storia di ben due generi ma che per troppo tempo sono stati introvabili. Due generi perché davvero non è facile classificare l’opera di uno scrittore il cui solo interesse era quello di narrare delle belle storie infischiandosene di ogni catalogazione. Quello di La Terra Morente è, almeno in teoria, un universo fantascientifico ambientato in un futuro lontanissimo, su un mondo il cui sole si sta inesorabilmente spegnendo. Le avventure che vivono i suoi personaggi però hanno spesso un sapore picaresco, e la magia — o una tecnologia talmente evoluta da essere indistinguibile dalla magia, come avrebbe detto Arthur C. Clarke — ha un ruolo importante in numerose trame. Quello che domina tutto però è il senso del meraviglioso, la varietà infinita delle situazioni che Vance era capace di creare, pur nella solidità di un mondo inventato e tutto da scoprire.

Alcuni anni fa George R.R. Martin e Gardner R. Dozois hanno curato un’antologia di racconti dedicata proprio al ciclo della Terra Morente, Songs of the Dying Earth. Nell’introduzione Dean Koontz ha elogiato “la sua scoppiettante capacità di creare mondi: pianeti lontani e terre del lontano futuro sono descritti così bene che, nella mente del lettore, si allargano come panorami reali e coloratissimi” sottolineando come le immagini di Jack Vance possiedano “una profondità e una complessità tali che suscitano nel lettore una situazione lirica”. Questo senza trascurare gli stati d’animo dei personaggi, tratteggiati con maestria e dotati di una notevole profondità di carattere.

Vance ha scritto le prime storie della Terra Morente nel periodo in cui lavorava sulle navi cargo che attraversavano l’Oceano Pacifico durante la Seconda guerra mondiale. Pubblicati su rivista alla fine degli anni ’40, nel 1950 i sei racconti sono stati riuniti nel volume The Dying Earth (La terra morente). Le sei storie successive, incentrate su un personaggio venale e privo di scrupoli noto come Cugel l’Astuto, sono state riunite nel 1966 nel volume The Eyes of the Overworld (Le avventure di Cugel l’Astuto). Un secondo volume dedicato a Cugel, Cugel’s Saga (La saga di Cugel), è arrivato solo nel 1983 e l’anno successivo Rhialto the Marvellous (Rhialto il Meraviglioso) ha segnato l’addio di Vance al suo mondo.

Un addio per lo scrittore che lo ha creato, non per i lettori che lo hanno amato o per i numerosissimi autori che ne sono stati influenzati. Basta leggere i commenti posti in coda ai loro racconti nell’antologia Songs of the Dying Earth, pubblicata in Italia da Urania in tre parti intitolate Storie dal crepuscolo di un mondo volumi 1 e 2 e La Terra al tramonto per rendersi conto della portata di quest’influenza. Robert Silverberg, Mike Resnick, Jeff VanderMeer, Kage Baker, Elizabeth Moon, Lucius Shepard, Tad Williams, Glen Cook, Tantih Lee, Dan Simmons, George R.R. Martin, Neil Gaiman e molti altri hanno espresso la loro enorme ammirazione per questo mondo e per colui che lo ha creato.

La terra morente è stato portato per la prima volta in Italia da Ponzoni editore nel 1963 con il titolo Il crepuscolo della Terra. Negli anni si sono susseguite diverse edizioni, ma erano ormai molti anni che le storie di Jack Vance erano diventate introvabili. Fanucci, come annunciato da qualche tempo, è arrivato a coprire questo “buco” editoriale per consentire a chi ancora non lo aveva fatto di recarsi su un pianeta il cui sole potrebbe spegnarsi da un momento all’altro.

Un viaggio nella Terra al tramonto
Ora non credo che li leggerò mai. La mia storia con Vance è iniziata una ventina di anni fa, e non è stata molto fortunata. Ricordo di aver preso in prestito in biblioteca Lyonesse, volume che credo superava le 500 pagine, e di averlo restituito dopo averne letto circa 200. Quel libro aveva un problema: era rotto. Mancavano fra le 30 e le 50 pagine, e io ho forzatamente interrotto la lettura in quel punto. Avrei potuto organizzarmi, prenderlo da un’altra biblioteca (nel corso della mia vita ho fatto la tessera di una dozzina di biblioteche diverse, e ho ancora tutte quelle che non sono state annullate dalla fusione di diversi sistemi bibliotecari) o comprarlo, visto che all’epoca era in commercio. Non l’ho fatto perché non mi interessava farlo. Se il libro fosse stato intero lo avrei ultimato, e chissà cosa ne avrei pensato visto che a volte le conclusioni donano nuova luce a tutto quel che si è letto prima. Così, con un’interruzione forzata, mi sono resa conto che quel che stavo leggendo non era poi male ma non era neanche così interessante da fare un qualsiasi sforzo per poter proseguire la lettura.

Conosco l’importanza di Vance per fantasy e fantascienza. So benissimo che George R.R. Martin lo adora, e non solo lui. Però solo perché mi piace uno scrittore questo non significa che debba condividere i suoi gusti. Guy Gavriel Kay adora Dorothy Dunnett, e io non sono riuscita a digerire ben due volumi della Saga di Niccolò. La ricostruzione degli ambienti era bella ma il protagonista mi stava decisamente antipatico, e se non sopporto il protagonista non apprezzo mai il libro che sto leggendo. Vance piace a Martin e a un bel po’ di altri scrittori, e allora?

Martin non si è limitato a esprimere la sua ammirazione, ha anche curato insieme al suo amico Gardner R. Dozois una raccolta di racconti intitolati Songs of the Dying Earth. Qualcuno si lamenta che si distrae un po’ troppo dalle Cronache del ghiaccio e del fuoco e che dovrebbe smettere di curare antologie e pensare solo ai romanzi. Per quanto mi riguarda può curare tutte le antologie che gli pare, anche se perde tempo per farlo, se questo gli consente di ricaricare le batterie e di tenere alto il livello della sua scrittura. Quest’antologia comunque è stata acquistata da Urania e tradotta in tre volumi giunti nelle edicole a circa un anno di distanza l’uno dall’altro. Fortuna che leggo regolarmente FantasyMagazine e che quindi ho letto le segnalazioni di pubblicazione e sono corsa in edicola. I primi due, Storie dal crepuscolo di un mondo volume 1 e 2, li ho letti all’inizio di quest’anno, il terzo, La terra al tramonto, lo sto leggendo ora. Sono a metà del racconto di Dan Simmons e mi mancano ancora quelli di Howard Waldrop, che secondo il suo amico Martin è uno scrittore straordinario e il cui racconto su Jetboy nel primo volume delle Wild Cards mi è piaciuto parecchio, di George R.R. Martin, ed è fuor di dubbio che ho alte aspettative per questo testo, e di Neil Gaiman, scrittore che non ha bisogno di presentazioni.

Ho iniziato i racconti con ottimismo, e all’inizio del primo volume mi sono pure divertita anche se non ho letto capolavori. Non ho mai valutato la qualità di un testo in base alla sua lunghezza. In passato ho letto sia racconti straordinari che testi brevi così noiosi da farmi dimenticare l’inizio prima ancora di aver raggiunto la fine, anche se erano lunghi solo quattro pagine (ogni riferimento a Giovanni Verga non è puramente casuale). Ho letto anche saghe lunghe come La Ruota del Tempo di Robert Jordan senza annoiarmi per un solo istante, mentre se su Imagica di Clive Barker, volume di poco più di 1.000 pagine, mi sono trascinata con molta fatica. La differenza la fa il testo, non la sua lunghezza, anche se so che molte persone non amano i racconti.

Io invece non amo questo genere di testi. La Terra morente (e mi domando come si possano definire fantascienza queste storie, qui siamo assolutamente in ambito fantasy) è un luogo di prodigi. Ci sono creature di tutti i tipi, magie incredibili, sorprese di ogni genere pronte a saltare addosso all’incauto viaggiatore (o lettore) a ogni istante, una profusione di dettagli fantastici, una vitalità sfrenata difficili da descrivere a chi non se ne è mai imbattuto. Peccato solo che io odi questo genere di fantasy. Ho abbandonato per ben due volte Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll perché non sopportavo le sue continue sorprese. Mi nauseavano. Ho finito a stento Abarat del già citato Clive Barker. Ho abbandonato Perdido Street Station di China Miéville. Sono arrivata al termine di La bambina che fece il giro di Fayriland per salvare la fantasia di Catherynne M. Valente solo perché era breve e perché mi sono fatta violenza da sola imponendomi di andare avanti, alla faccia dei premi vinti dall’autrice. Non mi interessano le continue sorprese, le mirabolanti avventure e tutto quello che questi scrittori mettono nelle loro storie.

I libri che sto leggendo io non sono di Jack Vance. Sono in suo onore, ma l’atmosfera generale è la stessa e, come già avvenuto con gli altri libri che ho citato, mi disgusta. All’inizio potevo anche accettare questi testi, ma più sono andata avanti meno li ho sopportati, e sì che ho letto i libri intervallandoli a diversi altri. Evidentemente questo tipo di storie non fa per me, e non credo che con i libri di Vance le cose andrebbero meglio. Al termine di ogni racconto i vari autori hanno scritto una postfazione nella quale dichiarano il loro imperituro amore per Vance, spiegano l’importanza che la sua opera ha avuto per loro come lettori prima e come scrittori poi, e intanto dicono perché tutti dovremmo leggere e apprezzare le sue opere. Da quel che ho letto, i racconti di Vance quasi certamente non mi piaceranno. Finirò La terra al tramonto, e mi riferisco all’antologia curata da Martin e Dozois, sperando che i prossimi racconti mi piacciano di più, ma quasi certamente non mi accosterò più all’opera di Vance. Peccato.



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