Pochi giorni fa Sul Romanzo vi parlava di futuro, in particolare della prima biblioteca pubblica interamente digitale. Pensavamo di avere intravisto il tempo da venire, immaginando ereader e pc in stanze asfittiche e coi suoni tipici delle comode tecnologie contemporanee. Ci eravamo sbagliati, come nei migliori romanzi postcyberpunk, seguaci del connettivismo fra letteratura e bioinformatica, il nadir ha trasceso l’ombra sostituendosi subito allo zenit, capovolgendo le apparenze.
Una biblioteca non digitale ma biologica, nel DNA. Che cosa?
Ieri, 23 gennaio 2013, Nature – una delle più importanti riviste scientifiche – ha pubblicato uno studio che riguarda la conservazione biologica di dati: sono stati “registrati” 154 sonetti di Shakespeare, il discorso "I have a dream" di M.L. King del 1963, l'articolo attraverso cui Watson e Crick descrissero la forma a doppia elica della molecola della vita nel 1953 e una foto ad alta risoluzione dell'European Bioinformatics Institute di Hinxton, in Gran Bretagna, dove è avvenuta l’operazione di registrazione. Per confermare l’esperimento è stata inviata una provetta a un gruppo di biologi, i quali non hanno avuto difficoltà a scoprire quanto vi era contenuto in termini non solo biologici. Una sequenza di basi potrebbe conservare una serie di informazioni che i computer attuali, anche i più potenti, non potrebbero reggere, il confronto sarebbe impari.
Sono richiesti strumenti ad elevata tecnologia, eppure sulla durata di conservazione delle informazioni ci sono pochi dubbi: il DNA batte il digitale sei a zero. Per ora siamo ancora nel campo della ricerca, nonostante ciò il futuro si prospetta roseo. Si pensi a una biblioteca di libri contenuta per intero in una provetta. Fantasia fino a pochi anni addietro, ora non più grazie all’avanzamento delle nanotecnologie.
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