Ultimamente i monumenti italiani sono diventati teatri di protesta: prima l’imprenditore che è salito sulla cupola di S. Pietro con uno striscione anti-multinazionali, anti-banche e anti-Monti.
Poi i 4 operai della Vinyls di Porto Marghera che ora sono sul campanile di Piazza S. Marco a Venezia.
Alle “proteste dei monumenti” possiamo affiancare le proteste degli operai della FIAT a Pomigliano d’Arco e i 4 operai dell’ ENEL che a Cosenza sono saliti su una ciminiera.
Da non dimenticare poi gli operai dell’ALCOA di Portovesme saliti su un silos o proteste meno recenti ma comunque di quest’anno come la protesta degli ex-operai Wagon Lits su una torre della stazione di Milano.
Dopo aver citato tutti questi esempi e tanti altri ce ne sarebbero ancora vediamo che in Italia a differenza di Spagna e Grecia è più frequente una protesta di “pochi”, proteste “simboliche” che comunque destano scalpore. Rispetto a Spagna e Grecia vediamo che le proteste in Italia rimangono sempre piuttosto “isolate” anche se ricevono comunque l’attenzione dei media e dei programmi televisivi come la protesta degli impiegati dell’ALMAVIVA CONTACT nei pressi di Roma.
In Italia forse la “vera protesta” è rappresentata dal movimento di Grillo che “rischia” di “portare” 100 deputati alla Camera dopo le prossime elezioni politiche: “protesta molto lontana” dalla “rabbia” e dall’indignazione che vediamo manifestarsi in Spagna, Grecia e Portogallo.
In Italia prevale una “repulsione” alla “protesta di piazza”: si “preferisce” magari internet oppure far parte di movimenti che stanno appena nascendo come “Italia futura” o “Fermare il declino”.
Una condizione di “torpore” regna nel nostro paese e pochi fanno eccezione dimostrando il loro dissenso come ad esempio movimenti tipo i NO-TAV e i NO-MUOS.