Viktors finalmente portò fuori Nathan, lo attaccò al carro, e montò a cassetta per guidarlo verso l'uscita del recinto. Arturs corse fuori di casa poi, raggiunto il carro, con un balzo saltò sopra, sistemandosi a sedere accanto al padre. Li accompagnava, lungo il sentiero che costeggiava il fiume, un vento tiepido, mentre i raggi del sole sfrigolavano via piano, cedendo il posto ad un alone di luce diffusa e insistente. Passarono accanto al casolare di Valters, quindi oltrepassarono la fattoria delle sorelle Liepina. Arturs fece in tempo a sporsi indietro con la testa, per salutare, orgoglioso, Ilze, con cui spesso giocava in riva al fiume. Presero quindi la strada che conduceva verso le grandi pianure.
Il primo fuoco che incontrarono fu nei dintorni di Auri. Si scorgeva il fumo salire dal fianco di una piccola collinetta. Si inoltrarono dentro un boschetto di betulle, dove Viktors ebbe un bel daffare per tenere Nathan e il carretto sullo stretto sentiero che era tracciato in mezzo ai lisci fusti biancheggianti.La luce bassa dei raggi filtrava a intermittenza, mantenendo però un alone cangiante al di sopra degli alberi. Infine quei raggi saltellanti si sciolsero in una pozza di languido chiarore appena il carro uscì nella radura che si apriva su un lago. Padre e figlio ne approfittarono per scendere dal carro. Arturs si gettò correndo verso quello specchio immobile. Con l'acqua fino alle caviglie cercava di raccogliere gli arbusti e le canne che emergevano da quello spicchio di lago. "Ci siamo dimenticati delle canne, papà! Ne prendiamo qualcuna qui?" "D'accordo. Ma vedi di non finire dentro qualche buca profonda".
Era impossibile calcolare che ora fosse. Ma quella sera lunghissima e lucente dava il tempo e i rintocchi all'uomo con un battito di secondi tutto suo. Nessun orologio sarebbe stato in grado di calcolare quello scorrere delle ore. A Viktors pareva che fosse un tempo infinito e immobile. Si appoggiò ad un tronco abbattuto, di fronte alla riva terrosa del lago e aspettò che suo figlio terminasse la sua raccolta. Lo osservava con quello sguardo stupito e fiero, che non riusciva più a togliersi dal viso. Da quando erano rimasti soli. Non era sempre facile fra loro. Custodivano sentimenti segreti, di cui non riuscivano a parlare. Quando c'era sua madre, era lei che sapeva parlargli, con espressioni di una disarmante semplicità. Sembrava tutto facile. Viktors invece finiva col trasformare ogni dialogo con il figlio in una baruffa di giochi e corse che eccitavano il piccolo Arturs, ma poi lasciavano un affannoso respiro corto, privo di parole che spiegassero. Privo di una reale comunicazione. E ora c'era quel grumo fresco di indicibile dolore, che loro non riuscivano a condividere se non in un silenzio gravido di sguardi e sottintesi. Erano ombre di parole che faticavano a farsi strada, e che neppure le corse a perdifiato e le lotte giocose e furibonde sapevano sciogliere in un luce di sincerità. Tutta Zemgale mandava profumi di gelsomino quella sera. Ciocchi di terra grassa sbollivano umori tiepidi sotto gli zoccoli di Nathan. Sembrava che la natura quel giorno fermentasse tutta, in un bolla di vapore denso di aromi e colori. Quando raggiunsero la fattoria di Milda e Edmunds li annunciò un concerto festoso di grilli dai fossi ai lati della strada sterrata. Arturs saltò fuori all'imbocco del vialetto e corse incontro alla vecchia balia che li attendeva sull'aia. Edmunds in piedi sulla soglia di casa annuì con un ciondolio lento del capo. "Sei sempre il solito, Viktors! Perchè non ci hai avvertito che arrivavi" lo sgridò Milda. "Scusaci, ma non avevamo una mèta precisa stasera. Abbiamo preso Nathan, attaccato il carretto e siamo partiti così, per fare un giro. Arturs ci teneva così tanto a guidare il calesse". Edmunds servì kvass al piccolo, e aprì due birre. "Siediti Viktors, e non starla a sentire. Non aspettavamo nessuno, eppure lei ha riempito la dispensa con ogni tipo di formaggio e salame, pollo affumicato, piragi alla pancetta, e torta ai semi di papavero. E ancora teme che non ci sia abbastanza per dar da mangiare a due ospiti." "Qui non viene quasi mai nessuno - proseguì Edmonds. Karlis e Inga non si fanno mai vedere. Non ci siete rimasti che voi, che ogni tanto fate capolino". Arturs si gettò a capofitto sui piragi e sulla torta ai semi di papavero e si scolò in un baleno il bicchiere di kvass. Edmunds e Vicktors si incamminarono verso la faggeta che delimitava la tenuta della fattoria. Il vecchio si sedette sotto la quercia vecchia e arrotolò una sigaretta. "Allora, hai deciso cosa fare con tuo figlio? Lo porterai a Riga a studiare? Lo capisco sai, quella fattoria ormai, che ci fate voi due da soli.. Qui non c'è nient'altro che campi, e fatica. E bestie da tirar su." "Non so dirti Edmunds. C'è questa estate qui davanti, speravo mi segnasse una strada da fare. Eppure stasera ci è presa una voglia impellente di montare il calesse e fare il giro dei falò qui intorno. Arturs è una trottola, non riesce più a fermarsi un attimo, da quel giorno. Mi sembra abbia bisogno di respirare quest'aria libera, questo paesaggio di orizzonti. E' una cosa strana, sai. Ma restare qui, ci dà l'illusione che lei sia ancora vicina a noi. E' una sensazione che ci fa un male assurdo, ma di cui non sappiamo fare a meno. Io lo so che ce ne dovremmo andare, che non dovrei legare Arturs a questo cappio di ricordi. Ma dimmi tu, che ce ne facciamo di una vita qualsiasi a Riga? Diventeremmo altri due alberelli tristi di città, in attesa di scappare ogni giorno di festa per queste campagne. Lei ci chiamerebbe comunque."
Fecero anche loro un fuoco, infine. Arturs mise le stoppie e le fascine ed Edmunds gli fece accendere la grande pila. Milda si mise a cantare sottovoce una canzone di Ligo. Si sentiva un sottofondo frusciante di sterpi che bruciavano, e quella lenta melodia incantata. Arturs correva intorno al fuoco, allargando le braccia come un airone in volo. Infine si posò a terra, esausto. Viktors lo prese in collo, se lo adagiò sopra le gambe, e lo osservò mentre si addormentava. Questo non finiva di esser bello.
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