LA PAURA È PASSATA. SIEDE A UN TAVOLO ALL’APERTO CON LUI, FA FRESCO, LO GUARDA, POI GUARDA INTORNO. LA SERENITÀ DILAGA TRA I TAVOLI BIANCHI, HA GLI OCCHI CHE SONO TERRAZZE.
Una ragazza, i capelli lunghi, sciolti, sulle spalle. Un paio di jeans, una maglietta. Sì, ma quale? Interroga l’armadio: bianca, ci vuole bianca, che non si veda se sudo. Perché suderò.
Una borsa, una sacca ai piedi del letto.
Fa due passi fuori, compra un pacchetto di sigarette. L’afa si mangia la città, lei sta in bilico, impazienza, gioia, paura. Vorrebbe non averne: e di cosa, poi, perché mai?
Qualche ora più tardi, un pullman la porta a Orio al Serio. Scende: lei, la borsa, la sua sacca blu a tracolla. Entra e controlla il monitor: Paris Beauvais. Volo Ryanair.
Storie, traiettorie, persone con altri bagagli a mano e nel cuore passano alle sue spalle, brulicano in un ronzio che non sente. Guarda quelle lettere, ha un solo sussulto: Dio, lo sto facendo per davvero!
L’orgoglio le sale alla gola, l’eccitazione la tiene lì, inchiodata, incredula che altri non s’avvedano. Perché sa: qualcosa di grande sta per arrivare.
Sale sull’aereo che di nuovo trema: le mani sulla balaustra della scaletta, un gradino dopo l’altro. Cerca di rassicurarsi: Non hai niente da perdere. Sono tre giorni. Poi torni.
Una mamma siede accanto a lei col suo bebè. Altri la chiamerebbero sfortuna, disturbo. La ragazza sorride a entrambi e inventa storie: la madre è italiana, e vola verso il marito, in Francia. Non è vero? Forse saremo anche noi così, è un segno. Prende il quaderno dalla borsa, scrive. La città è piccola, resta lontana sotto le ali. Comunque andrà, ormai è partita. Il resto è là sotto. Il resto è indietro. Prendila come viene, sogna se vuoi sognare: intanto, vola.
A Beauvais recupera la sacca, il cuore ha ripreso a saltare con prepotenza. Non è pronta. Pensa a lui, lì fuori. Pochi metri più in là, oltre una stupida uscita che pare il confine tra l’immaginario e il reale. Prende tempo, ancora cinque minuti, va alle toilettes e si guarda allo specchio: è già sudata, l’aveva previsto. Il trucco è a posto, lava le mani, sta lì davanti a quella lastra che rimanda la sua immagine e il tempo dell’incontro.
“If you are rich I’m single”: che maglietta del cazzo, ho messo.
Prova a sorridere, si mette addosso un volto che nasconda l’imbarazzo: esce dal bagno, esce dall’aeroporto, fuori, subito, pochi passi senza il lusso gentile di un corridoio che l’accompagni. Ed è lì. Davanti ad altri che attendono parenti o amici. La giacchetta di jeans allacciata stretta in vita. Allora, dov’è? Dov’è lui?
Infila una mano in borsa, afferra una sigaretta, alza lo sguardo e lo vede.
Parlerà subito, il suo inglese allenato e vivace. Inonderà la macchina di qualsiasi argomento le salga alla bocca. Scoprirà quel piccolo appartamento vicino alla Senna. Diverso da come se l’era immaginato. Si farà una doccia e usciranno a cena.
La paura è passata. Siede a un tavolo all’aperto con lui, fa fresco, lo guarda, poi guarda intorno. La serenità dilaga tra i tavoli bianchi, ha gli occhi che sono terrazze: la vita prende pian piano l’aspetto di un panorama meraviglioso.
C’è il profumo della promessa: si sente, che la vita svolta. Che ha fatto bene a venire a Parigi, che valeva la pena vincere l’imbarazzo. Che bisogna scommettere qualcosa, per ottenere molto.
Era il 13 agosto di dieci anni fa. Quel giorno ho fatto una delle cose più giuste della mia vita.