La novità dell’iniziativa assunta da un organo istituzionale al suo massimo livello, come ha ricordato in un intervista ad “Articolo 21” Stefano Rodotà, presidente della Commissione, ha generato un sostegno ampio tra i commentatori e Guido Scorza su “Il fatto quotidiano” ha parlato di “momento storico” (Guido Scorza, Internet, arriva la carte dei diritti. Ora tocca ai cittadini). Ma ha anche attirato critiche feroci, come quella di Carlo Lottieri, direttore Teoria politica dell’Istituto Bruno Leoni, che ha bollato il documento come espressione di “quel socialismo del «politicamente corretto» che rischia di comprimere ancora di più gli spazi di libertà” (Carlo Lottieri, A Internet non serve una costituzione).
L’iniziativa italiana si inserisce all’interno di un movimento e di una riflessione ormai già molto ampia. E lo stesso Rodotà, nell’intervista citata in avvio, ricorda che “il Centro Berkman dell’Università di Harvard ha censito 87 dichiarazioni nel mondo, che sono quasi tutte esclusivamente di fonte collettiva, non statale, ma privata, e che hanno messo in evidenza la necessità di una carta dei diritti”.
- Freedom of expression online and offline
- Affordable access to a universally available communications platform
- Protection of personal user information and the right to communicate in private
- Diverse, decentralised and open infrastructure
- Neutral networks that don’t discriminate against content or users
È auspicabile che il confronto sulla bozza Rodotà si liberi dai lacci degli schieramenti e delle contrapposizioni per affrontare le molte questioni aperte dal testo attuale, che è scaturito dal lavoro, partito solo il 28 luglio scorso, di un gruppo di esperti (laici e parlamentari), ma che ancora non ha coinvolto la vasta comunità di operatori, associazioni, amministratori, che quotidianamente alimentano la realtà del Web in Italia.
In realtà, l’articolo 10 dedicato al diritto all’oblio ha già innescato un vivace dibattito pubblico: da posizioni differenti sono intervenuti, ad esempio, il Garante per la Privacy Antonello Soro (Privacy e diritto all’oblio, la Costituzione di Internet così non va) e il direttore di Wired Italia, Massimo Russo, uno dei membri laici della Commissione (Ecco la bozza di Internet bill of rights, ora tocca ai cittadini migliorarla). Certo stupisce che si sia voluto innalzare al rango di “principio fondamentale” un diritto così specifico e fortemente controverso, la cui validità e applicabilità, inoltre, sono direttamente connesse alle attuali modalità di indicizzazione e ricerca sul Web. Stupisce ancor di più se ci si rivolge, invece, a considerare la scarsa attenzione prestata alla necessità di promuovere e garantire la piena accessibilità e conservazione di tutte le fonti disponibili (in particolare, le informazioni pubbliche) e alla scarsa trasparenza dei meccanismi di filtro e selezione dei risultati proposti dai motori di ricerca sulla base delle nostre “preferenze”.
Proprio il dispiegarsi sempre più pervasivo di meccanismi in grado di assicurare risultati personalizzati introduce due questioni di vitale importanza per il futuro del Web. Il rischio, denunciato da Eli Pariser, è che per tale via si produca una sorta di “determinismo dell’informazione, in cui quello che abbiamo cliccato in passato determina quello che vedremo in futuro”: in ballo finisce per esserci lo stesso pluralismo dell’offerta culturale e informativa, condannata per sopravvivere a non cambiare, a replicare se stessa sempre uguale, di continuo. Al vulnus della democrazia, determinato dalla contrazione degli spazi d’azione di un pieno pluralismo, si aggiungono i rischi derivanti dal connesso consolidamento di pratiche monopolistiche.
Internet è uno spazio tecnologico fortemente innovativo e competitivo. È il terreno sul quale si giocano le fortune dei settori maggiormente dinamici e “attraenti” dell’economia mondiale. L’evoluzione e il dinamismo dello sviluppo economico lungo tutto il Novecento non si spiegherebbero senza considerare il ruolo che vi hanno svolto le normative antimonopolistiche adottate dai governi occidentali, a partire dallo Sherman Act del 1890. Ora, nell’economia digitale del XXI secolo, il consolidamento di posizioni di monopolio sovranazionale rischiano di introdurre freni potenti al pieno dispiegamento delle potenzialità di crescita e sviluppo. Limitando le capacità di scelta di cittadini e consumatori, come ha denunciato recentemente “The New Republic” analizzando il caso di Amazon (Amazon must be stopped, di Franklin Foer); chiudendo progressivamente i varchi di entrata sul mercato di nuovi operatori.
A partire dal prossimo lunedì prende il via la consultazione pubblica sul testo elaborato dalla Commissione istituita presso la Camera: il confronto resterà aperto per quattro mesi. Per rendere più efficace e consapevole il contributo di quanti vogliano collaborare a quest’impresa sarebbe particolarmente utile che siano resi disponibili, oltre al testo, anche tutti i materiali documentali che la Commissione ha raccolto e ha potuto consultare nel corso del suo lavoro.
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