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Una domanda a Monti: dove finiscono i soldi del Welfare?

Creato il 09 dicembre 2011 da Albertocapece

Una domanda a Monti: dove finiscono i soldi del Welfare?Non ho ho mai sentito fare a Marchionne la domanda più ovvia: come mai la Fiat produce un quarto della Volkswagen e ha salari che sono quasi la metà di quelli del gruppo tedesco? A volte le domande più semplici sono quelle alle quali non si sa rispondere e  per questo i media nostrani che non sono cuor di leone, non le rivolgono mai. Naturalmente la stessa cosa vale per la Marcegaglia, per gli imprenditori in sciarpa, per economisti o sedicenti tali, rampantini servili delle università private, intellettuali in cerca di copyright, politici senza vaglia, insomma per tutta quella fauna che è al tempo stesso effetto e causa del modello  italiano che crede di poter competere non sul prodotto  ma con i bassi salari e i pochi diritti.

Non dirò cosa penso di tutti questi dinosauri neoliberisti o veteroservili,  apparentemente ignari che sul loro mondo si è abbattuto l’asteroide  della crisi. Ma, visto che nessuno gliela fa, che la stampa tace e fa la mendace, voglio provare a rivolgere una semplice domanda a Monti. Per carità una domanda in due parti molto sobria e semplice che non dovrebbe mettere in crisi un banchiere, rettore, politico, economista, un italiano/europeo. Insomma un competente.

Mi sa spiegare Monti perché l’Italia ha accumulato il suo gigantesco debito pubblico quando il suo è il welfare di gran lunga più striminzito di Europa? E soprattutto a chi sono andati i denari che oggi si vogliono recuperare tagliando ancora il welfare?

Siccome so di parlare con un esperto di Europa e anche a lettori che non hanno mai avuto il bene di leggere i particolari di questo scandalo sui giornali o di sentirne parlare in televisione, non voglio rimanere nel vago.

Allora comincio con la Gran Bretagna in maniera da non indurre Monti a una crisi di astinenza dal fraseggiare inglese. Bene in Inghilterra esiste l’ Income-based Jobseeker’s Allowance che per i singoli senza lavoro  fornisce l’equivalente di 63 euro a settimana, 80 euro dopo i 25 anni. Per le coppie, sposate o di fatto dopo i 18 anni, la cifra sale a 124 euro la settimana. A questo occorre aggiungere l’ House Benefit, cioè il pagamento dell’affitto di casa e altri interventi monetari in caso di coppie con figli. Naturalmente sono coperte e gratuite tutte le spese per il mantenimento e l’istruzione dei bambini.

In Francia le cose sono un tantino più complicate visto che il vecchio regime del Revenu minimum d’insertion è stato recentemente sostituito dal Revenu de solidarité active che comincia dai 18 anni in su per chi ha lavorato, ma è stato licenziato e in ogni caso  dopo i 25 : per le persone sole si tratta di 466 euro al mese e di 700 per le coppie senza figli, Questa è la base. Se si è da soli ma con un figlio a carico si arriva ai 700 euro mensili o agli 840 in coppia, i soli con due figli a carico ricevono 840 euro e le coppie 980. Si aggiungono 186 euro al mese per ogni figlio in più. Il quadro si completa con una serie di riduzioni e di sconti tra cui è da notare la “Réduction sociale téléphonique” che permette anche a chi si trova in grave difficoltà di accedere alla rete.

In Germania esiste naturalmente il sussidio di disoccupazione che in molti casi è di 100 euro inferiore all’ultimo salario, ma per tutti i cittadini dai 16 ai 65 anni c’è Arbeitslosengeld che è di 345 euro al mese e nel caso non si abiti presso qualcuno, per esempio in casa dei genitori o di parenti, prevede la copertura totale dell’affitto e del riscaldamento (Miete und Heizung). Ovvio che ci sono poi i contributi per gli eventuali figli il Kindergeld . Senza farla troppo lunga una coppia con due figli nella quale  uno dei due genitori sia rimasto disoccupato ha diritto a un integrazione del reddito per un minimo di 1700 euro al mese. La Merkel nel 2005 ha eliminato i contributi per i vestiti e i mobili e ridotto di qualcosa le indennità per la disoccupazione di lunga durata che colpisce gli ultraquarantenni. Naturalmente sono totalmente gratuite oltre alle spese sanitarie quelle per ritrovare un lavoro, dovunque in Europa (e dunque viaggi e soggiorni pagati, naturalmente con i controlli del caso), per la formazione professionale e anche interventi integrativi qualora si trovi un’attività part time o a orario ridotto. Quest’ultimo provvedimento è stato particolarmente importante perché ha permesso a molte aziende in difficoltà di ricorrere al Kurzarbeit, cioè a una riduzione dell’orario di lavoro che non si traduce però in un drammatico abbassamento di reddito per i lavoratori.

Tutte queste cose  che in molti casi sfiorano il salario di cittadinanza, costano anche se offrono carburante per l’economia e in molti casi consentono una reale flessibilità del mercato del lavoro . Ora mi piacerebbe avere dal premier una spiegazione razionale del perché l’Italia abbia un debito “pubblico” così alto benché non ci sia nulla di tutto questo. L’unica azione concreta di cui si ha prova è il tentativo dell’establishment, compreso quello mediatico, di nascondere queste realtà: quando i giornali ne parlano sembra che tutele di questo tipo appartengano solo a stati del remoto nord, immersi fra i ghiacci eterni mentre invece le abbiamo direttamente ai confini, visto che welfare simili appartengono praticamente a tutti i Paesi e specie ai nostri diretti vicini e concorrenti.

Ora chiedo a un competente esperto: se noi queste le cose ce le sogniamo dove vanno a finire i soldi che fanno crescere il debito definito pubblico, ma in realtà dello stato? Chi li risucchia come un’idrovora? Non ci si venga a dire che abbiamo più dipendenti pubblici perché magari saranno meno efficienti, saranno troppi dove non servono e pochi dove servirebbero, ma guadagnano molto meno dei colleghi europei che in molti casi sono anche di più sia in termini assoluti che rispetto alla popolazione:  3,4 milioni in Italia, contro i 5,2  della Francia, i  4,5 della Germania, i 2 milioni e 75 mila della Gran Bretagna che è l’unica ad averne meno. Certo poi un insegnante britannico guadagna in media 32 mila euro, contro i 24 mila di quello italiano, una proporzione che è più o meno costante anche in altre attività.

Va notato che le tutele elencate prima non esistono da qualche anno, ma da molti decenni e nel caso della Gran Bretagna addirittura da prima della guerra: solo la Francia fa eccezione visto che il salario sociale è stato adottato a partire dal 1988. Quindi evitiamo di dire che noi non possiamo permettercelo: non abbiamo voluto farlo, abbiamo preferito altre strade forse nella ottusa speranza che le cose sarebbero andate sempre bene. E non è estraneo a tutto questo il negativo influsso culturale della Chiesa e dei suoi referenti politici che hanno sempre guardato a queste tutele come appartenenti alla sfera della famiglia e non a quella sociale.

Allora dove e a chi vanno a finire i soldi che non vengono spesi per welfare? Forse proprio a quelli che sono stati esentati dai sacrifici? O forse agli evasori fiscali che non verranno colpiti? O forse alla varie e variegate caste parassite per combattere le quali non c’è alcun provvedimento? O all’affarismo vergognoso che regna nei lavori pubblici e di cui non si parla nel pacchetto? Alla criminalità che viene combattuta più con operazioni mediatiche e arresti di antichi latitanti che con azioni concrete nel campo dell’economia?

Sono in attesa di una cortese risposta.


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