Magazine Cinema
di Paolo Genovese
con Sergio Castellitto, Marco Giallini
Ita, 2012
Si avvicinano le feste ed i produttori del nostro cinema iniziano ad affilare le armi per cercare di guadagnarsi i favori del botteghino, solitamente generoso con i film in uscita nel mese di dicembre. Così in attesa del cine panettone, ufficialmente defenestrato ma ancora presente sotto mentite spoglie in molta commedia nostrana, e sulla scia di un attesa che almeno nelle sale sa già di Natale, i campioni del buon umore provano a sottrarsi alla dittatura dei format e delle formule inventando soluzioni alternative.
E' con questi intenti che si presenta ai nastri di partenza l'ultimo lavoro di Paolo Genovese "Una famiglia perfetta", commedia meta cinematografica che prova a percorrere la strada della risata intelligente raccontando di una famiglia "perfetta" di nome e di fatto, essendo la stessa costruita su misura del protagonista della storia, Leone (Sergio Castellitto), che l'ha voluta commissionandola a Fortunato (Marco Giallini), il capogruppo di una compagnia d'attori senza lavoro ed in cerca di un ingaggio. Motivi sufficienti per convincerli a simulare il parentado che dovrà tenergli compagnia alla vigilia di Natale. Un copione già scritto che sarà scombussolato dagli imprevisti della vita e dalla forza dei sentimenti che finiranno per rimescolare i rapporti di quello strano sodalizio.
Dopo il successo di pubblico ed in parte anche di critica ottenuto da "Immaturi"(2011) e "Immaturi. - Il viaggio" (2012) Paolo Genovese aveva due scelte: la prima, più comoda e remunerativamente sicura era quella di continuare sullo stesso filone, proponendo altre storie di eterni bamboccioni, oppure, ed è quello che ha fatto ne "Una famiglia perfetta", di provare a crescere, imboccando direzioni meno scontate. Per far questo il regista si affida ad una commedia meno diretta e più sofisticata, costruita sull'eleganza della recitazioni, l'alternanza dei toni - dal sarcastico al malinconico passando per uno scherzoso che non diventa mai volgare -, il fascino della confezione, cotonata e morbida nei variopinti colori della campagna umbra e negli interni borghesi della villa in cui la maggior parte del film è girato, la prevalenza dei temi rispetto alla caratterizzazione della maschere, con il rapporto tra verità e finzione, arte e vita, ragione e sentimento a farla da padrone. Caratteristiche che Genovese condensa in uno stile attento a mantenersi fluido nella costante ricerca dello spazio, con movimenti di macchina che si aprono attorno ai personaggi ed enfatizzano le possibilità di un prodotto che sfrutta al meglio le sue potenzialità, con dolly, panoramiche e split screen di matrice americana. Ma a farla da padrone è soprattutto la riflessione sul cinema ed in particolare sul mestiere dell'attore, con i protagonisti della storia impegnati ad entrare ed uscire dal personaggio che sono chiamati ad interpretare nella farsa voluta da Leone. Uno sdoppiamento che nella continua alternanza tra vita reale e finzione scenica riproduce i meccanismi di un'arte schizofrenica per la mancanza di un confine definito tra le due condizioni, destinate ad interagire con pericolosi sconfinamenti da una parte e dall'altra. Una tendenza che il film di Genovese esalta nei continui scambi d'identità ed in un gioco delle parti che ad un certo punto si confonderà in un unicum capace di far saltare il banco quando il personaggio interpretato dalla Gerini, sposata con Fortunato ma chiamata ad interpretare la moglie di Leone, sembrerà preferire le attenzioni di quest'ultimo rispetto a quelle del consorte, dando il via ad un cortocircuito esistenziale a partire dal quale anche il resto della compagnia inizierà a vivere il proprio personaggio, piuttosto che a desumerlo dal testo scritto.
Genovese gioca a carte scoperte dapprima rivelando allo spettatore la natura del suo film, e poi coinvolgendolo con un punto di vista che coincide con quello dei personaggi. In questo modo il divertimento deriva dalla condivisione di una un artificio di cui tutti sono consapevoli, e dal non sense che da esso ne deriva. Il meccanismo però funziona solo in parte a causa di una sceneggiatura che non sempre riesce a tenere insieme speculazione ed intrattenimento, e che dimostra un'attenzione maggiore nel congegnare i passaggi tra i diversi livelli di realtà, piuttosto che nella cura delle logiche narrative, deboli in alcuni passaggi (specialmente in quelli più sorprendenti ed inaspettati) ed un pò monocordi nella definizione dei caratteri. Difetti che penalizzano soprattutto il cast, di primo ordine non solo nella coppia Castellitto /Giallini, ma anche in quello dei cosidetti comprimari, categoria che parla al femminile con Claudia Gerini, Carolina Crescentini, Francesca Neri ed Ilaria Occhini a completare un cartellone mai così ricco.
(pubblicato su ondacinema.it)
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