Ricordando Nest Point, il punto più a Ovest dell’Isola di Skye…
Ricordo tanta acqua. Acqua dal cielo, sottile, fredda e costantemente presente come un ricordo scomodo, ma imprescindibile. Una pioggia che riesce a impregnarti tanto di se stessa che dopo un po’ te ne dimentichi. Perfino le palpebre si abituano a sostenere le gocce pesanti e pressanti che premono dall’alto. Ed acqua dall’oceano che, scontrosa, arrivava gigante e presuntuosa, all’improvviso, aiutata dal vento complice e privo di scrupoli.
Ricordo la fatica immensa per raggiungere quel faro, immobile lì dal 1909, così stranamente tranquillo, pieno di sé, in equilibrio su un’aguzza scogliera, sembrava non aver paura delle minacce da parte di quel cielo tetro, così vicino, e di quel mare spaventosamente alto, che gli urlava contro tutta la sua grandezza, tutta la sua solitudine. Il faro se ne stava lì, con quella superbia tipica di chi vive in solitudine, incosciente di rappresentare un punto d’arrivo metaforico e spirituale, per chi si avvicinava lentamente, saldo sulle gambe tremule, spaventato ed eccitato dal pericolo di un tempo così impietoso, troppo testardo per desistere. Non si rinuncia facilmente ad arrivare alla fine della terra emersa…
Tra me e me pensavo che finché non fosse venuto un qualche guardiano di quel colosso naturale a bussarmi sulla spalla dicendomi “Signorina non si rende conto che con questo tempo non è possibile arrivare fino in fondo agli inferi?”, io sarei andata avanti. E così è stato. Il guardiano non era di turno quel giorno.
Mi avevano detto che da lì si avvistano molto spesso le balene ed io ci stavo andando per quel motivo, sapendo perfettamente che quel giorno non avrei mai avuto quella fortuna,. Una nebbia degna della terra di Mordor avvolgeva avidamente tutto, ingoiando le cime delle scogliere così da spingere la fantasia ad immaginarle ancora più alte, infinite masse di roccia che gravavano come colpe sulle nostre teste.
E la nebbia rivestiva opprimente la superficie dell’oceano, come a volerlo coprire premurosa, come a cercare di calmarlo dagli incubi che non lo lasciavano riposare. La distesa grigia ondosa si incastonava perfettamente in quell’ovattato strato biancastro che si interponeva umido tra acqua e cielo, dividendoli e unendoli al tempo stesso, amanti destinati a non amarsi mai.
Non avrei visto le balene, ma avevo davanti l’infinito. E l’infinito contiene tutto e nulla. Sapevo che probabilmente loro erano lì. Enormi e lente, navigavano tra i flutti per loro non ostili. Io semplicemente non potevo vederle. Ma non per questo loro avrebbero smesso di esistere, di essere lì. Sapevo che non le avrei viste, ma sapevo che sarebbero passate di lì. Come l’aria. Non la vedi ma sai che la stai respirando proprio in questo momento. Non la vedi ma ti permette lo stesso di continuare a vivere. Così la loro assenza ai miei occhi mi ha permesso di continuare a sognarle.
Gli gridai il mio saluto. La nebbia si mangiò anche quello. Gli ho promesso che un giorno le avrei incontrate personalmente. Gli ho detto che erano nella lista delle 5 cose da vedere prima di morire. Credo che mi abbiano risposto che, se allora volevo evitare di morire prima di vederle, forse dovevo evitare di sporgermi così tanto.
Solo qualche foto, risposi, un video adesso che sembra che tutto sia calmo e poi giuro che torno indietro, non mi sento più le ossa…