Magazine Cultura
Me ne son reso conto sfogliando le pagine delle riviste, trovandomi con gli occhi incollati alle storie disegnate e sceneggiate da mostri sacri come Magnus, Eisner, Moebius, Jodorowsky, Micheluzzi, D'Antonio, Toppi, Pazienza, Bernet, Font, Quino, Jacobs, Bonvi, Tacconi, Giardino, Sclavi, De La Fuente, Manara e, ovviamente, Berardi e Milazzo. Piccole perle di alcune pagine ciascuna, che nel loro insieme costituiscono una collana preziosa, la rivista, corredata al suo inizio e alla fine da alcuni servizi, rubriche e interviste ad autori. Mi sembra incredibile che siano esistite delle pubblicazioni simili in Italia se le paragono a quello che si trova oggi in edicola. C'è l'eccezione della coraggiosa Animals di Laura Scarpa, che compro mensilmente fin dalla prima uscita, e che sta cercando da poco più di un anno di far breccia nel cuore e nella testa dei fumettari. Un compito arduo, perché l'epoca d'oro delle riviste di fumetti in Italia è forse tramontata per sempre. Tuttavia Animals si propone con dei validi e spesso nuovi (almeno per me) autori, di vari generi e stili che sanno suscitare ogni volta interesse e curiosità. Auguro sinceramente alla nuova rivista di avvicinarsi al successo qualitativo dei vecchi Comic Art e Orient Express, non certo a quello commerciale, visto che si trovarono costrette a chiudere da una forte crisi di vendite. Animals ha bisogno di essere acquistata e diffusa visto che nell'ultimo numero Laura Scarpa ha lamentato che non vende abbastanza per coprire i costi. Volentieri quindi la segnalo sul mio blog invitando caldamente gli appassionati di fumetti a leggerla.
Torno però all'affascinante (ri)scoperta che mi terrà impegnato nelle prossime settimane: la lettura di queste magnifiche riviste che mi fanno un po' dispiacere di non avere avuto qualche anno in più all'epoca della loro pubblicazione, in modo da essermele godute “in diretta”, e non in una così lontana differita. In ogni caso un'ulteriore piccola perla l'ho trovata subito: si tratta di un'intervista alla mia amata coppia Berardi e Milazzo, dal titolo “Cinema-fumetto, andata e ritrono: parlano quelli di Ken Parker”, del numero 23 di Orient Express uscito in luglio/agosto del 1984. E' un batti ribatti fra i due amici che parlano, fra le altre cose, dell'influenza esercitata dal cinema e dal suo linguaggio nel lavoro di entrambi, facendo emergere il loro “umanesimo”.
Dice Milazzo:
“...la difficoltà maggiore sta nel riuscire a far recitare il personaggio in modo giusto e immediato. Rispetto al cinema, nel fumetto non hai la possibilità di utilizzare il prima o il dopo dell'azione, devi riuscire a centrare il fotogramma giusto. E non è così semplice. Anche perché non mi interessano tanto gli aerei o le automobili, come ad altri disegnatori, quanto la persona, l'individuo, la recitazione, il cercare di far trasparire i sentimenti. E' questa mia attenzione alla recitazione dei personaggi che mi fa arrivare ad eliminare il contorno quando questo può distogliere il lettore dal fulcro della narrazione, il lato umano appunto. Sono i personaggi che fanno la storia”.
Come non condividere questa poetica!
Lo conferma Berardi:
“La storia è un mezzo per creare personaggi e situazioni umane. Non è che io consideri secondaria la trama del racconto, ma forse mi riesce più facile.”
Poi si sofferma sulle tecniche attraverso cui la sua sceneggiatura realizza gli intenti sopra esposti.
“..in questi anni ho sviluppato uno stile di sceneggiatura che, avendo eliminato le didascalie, racconta solo graficamente i passaggi di tempo, di luogo, di situazione, e quel che con la didascalia si risolverebbe in due righe col mio metodo richiede talvolta anche una pagina intera.”
Al giorno d'oggi queste affermazioni sembrano ovvie: se però le contestualizziamo a 25 / 30 anni fa capiamo come rappresentassero per quel periodo una novità, soprattutto per il fumetto seriale.
Milazzo infatti lo conferma:
“Giancarlo si è creato una speciale forma di punteggiatura nella pagina: ogni vignetta finale di pagina è studiata appositamente per chiudere un discorso. Il suo è uno stile di sceneggiatura letterario-cinematografico molto diverso da quello del passato, legato ad un metodo tradizionale di narrazione a libro, dove il disegno serviva solo come illustrazione del testo.”
Si intuisce qui facilmente lo stretto legame fra lo sceneggiatore e il disegnatore: il lavoro dell'uno è compenetrato assolutamente in quello dell'altro, la condivisione dell'universo stilistico è totale e reciprocamente dipendente.
Più avanti nell'intervista Berardi esprime delle considerazioni sul fumetto in generale le quali, se riportate alla nostra epoca costellata dalle cosiddette “graphic novel”, si rivelano ancora estremamente attuali:
“Purtroppo oggi nel fumetto c'è la tendenza molto funesta a trasformarsi in un mezzo d'elite, qualcosa cioè che viene fruito solo da una minoranza culturale. Tutto questo è abbastanza triste, perché quando scrivo una storia voglio farmi capire da tutti e ho piacere che venga diffusa il più possibile (e non solo per ragioni economiche, è chiaro). Ken Parker è nato come fumetto estremamente popolare, con un prezzo molto contenuto, e questo gli ha permesso di diventare il personaggio diffuso che è.”
Mi sembra molto chiaro il concetto e io lo condivido pienamente. Ken Parker voleva essere fin dalla nascita un fumetto per tutti, distribuito nelle edicole quindi, e utilizzò pertanto il formato Bonelli, che era, ed è, ben noto ai lettori italiani. Berardi e Milazzo però, ad un certo punto della vita editoriale del loro personaggio, decidono di fare un salto di stile, di formato e anche di contenuti. Lo spiega Berardi, continuando il ragionamento precedente:
“Gli ultimi numeri hanno venduto oltre 60000 copie. La decisione di cambiarne la formula editoriale, quindi, non è certo dovuta alla mancanza di vendite, ma a numerose altre ragioni. Per fare fumetti, oggi, bisogna guardare all'Europa, dove si ragiona solo in formati grandi, carta patinata e colore”
Milazzo ribadisce:
“Ne usciranno un paio di episodi all'anno, di 46 o 62 tavole, realizzati direttamente a colori, ad acquarello. Cambierà anche la mia tecnica: mi servirò del nero e del colore così da creare un equilibrio tra la vecchia serie in bianco e nero e l'episodio Cuccioli, che era proprio una festa del colore, una specie di esperimento di rottura tra la vecchia produzione e la nuova.”
Berardi continua:
“Ma Ken Parker cambia anche come soluzione narrativa. Dopo Sciopero e dopo l'uccisione di un poliziotto in occasione di una manifestazione sindacale, Ken dovrà fuggire. .. La soluzione mi permette di rendere più drammatica la serie e anche di sovvertire quella che era diventata un po' la filosofia del racconto alla Ken Parker, cioè di lui che arriva in un posto, osserva delle situazioni, poi dice qualche parola saggia, si mette in mezzo con qualche scazzottata. Tutto questo rischiava di diventare un cliché, cosa che ho sempre cercato di evitare in assoluto.”
Il cambiamento quindi: è sempre stata la cifra stilistica e narrativa della serie e viene confermata anche in questo passaggio così importante per la vita del personaggio. Quando lo lessi tutto d'un fiato diversi anni fa, cominciando con gli albi Bonelli, passando per le riviste e finendo con i Ken Parker Magazine, ebbi la sensazione del divenire del personaggio, della sua evoluzione continua, senza fratture ma con degli snodi ovviamente: uno è proprio quello di cui Berardi e Milazzo parlano in quest'intervista. Uno snodo importante perché riguarda la forma e il contenuto, ma del tutto coerente con ciò che era stato fino ad allora Ken Parker e con ciò che sarebbe stato nel suo futuro editoriale: una magnifica storia di una vita.
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