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Una legge non fa primavera

Da Femminileplurale

Il 15 Novembre il Consiglio dell’Unione Europea ha approvato un inasprimento delle pene nei confronti della pedofilia. Ovviamente apprezzo i nobili intenti di chi cerca di fermare, o almeno scoraggiare, il diffondersi di reati sessuali perpetrati nei confronti dei minori. Tuttavia, non sono per niente convinto che un semplice aumento dell’entità delle punizioni possa effettivamente funzionare come deterrente: se è giusto che chi commette questo tipo di crimine, particolarmente odioso, sia oggetto di una punizione severa (ma per favore non parliamo di castrazione chimica come fanno i leghisti, non siamo nel Medioevo), non bisogna al tempo stesso dimenticare che il fenomeno della pedofilia deriva da dinamiche molto complesse, ignorando le quali è pressochè impossibile trovare una soluzione che possa essere definitiva.

Una legge non fa primavera

Nello specifico, mi riferisco ad una “erotizzazione” a cui il corpo dei bambini è sottoposta nella società contemporanea. Casi come quello dei reggiseni push-up pensati per le bambine entrati in commercio poco tempo fa e quello, simile, della lingerie per bambini lanciata sul mercato lo scorso agosto, non sono infatti dei casi isolati di “cattivo gusto“, ma sono gli esempi più lampanti di una visione, imposta dal mercato, dei bambini come di un oggetto fruibile dal punto di vista erotico. Questa operazione viene fatta nei confronti dei bambini stessi per insegnare loro, fin dai primi anni di età, che il proprio corpo, e soprattutto l’immagine che di esso viene fornita, possiede un’importanza cruciale per quella che sarà la loro vita futura. “Abbellisci il tuo corpo, usalo per ottenere consenso ed apprezzamento”: questo è il messaggio che viene fatto passare attraverso le immagini che presentano le bambine in atteggiamenti ambigui, ammiccanti, truccate e pettinate come precoci stelle del cinema. Si insegna alle bambine che lo sguardo, non il cervello, è l’arma più efficace della quale dispongono. Se la pubblicità ha lo scopo fondamentale di educare il fruitore non solo nel senso di proporre la propria merce come la migliore sul mercato, ma anche e soprattutto nel senso di fornirgli un’immagine falsificata della realtà, quella a cui ci riferiamo ha proprio come obbiettivo quello di rendere i bambini coscienti dei vantaggi che lo sfruttamento del proprio corpo in senso erotico potrà dare loro, sia nell’immediato che in futuro.
Ma questa erotizzazione del corpo non è ovviamente rivolta esclusivamente ai bambini, ma anche agli adulti: d’altronde sono i genitori a scegliere cosa fare indossare al figlio, almeno durante l’infanzia. Dunque si insegna anche ai genitori come il considerare il proprio figlio un corpo da addobbare in ogni maniera possibile, anche con indumenti che in definitiva richiamano l’attenzione sulle componenti più spiccatamente erotiche del corpo, non sia assolutamente qualcosa di cui vergognarsi, ma anzi implichi un adeguarsi, da parte del genitore, allo spirito del tempo contemporaneo che impone l’abbellimento fittizio di ogni cosa che si voglia vendere, anche se la “cosa” in questione è un figlio e il “mercato” è il successo nella società contemporanea.

Una legge non fa primavera

Il problema a questo punto è che questa dinamica non ha come unico effetto quello di invitare i genitori a considerare il corpo dei bambini in senso erotico, ma stuzzica e fomenta le fantasie di chi ha già una predisposizione per la pedofilia. Non ho la presunzione di indicare con questa denuncia l’unica ed esclusiva fonte del problema, che sicuramente ha origini psicologiche, cliniche e sociali complesse e diverse di volta in volta, ma mi sento di affermare che o si pone fine, una volta per tutte, alla strumentalizzazione del corpo dei bambini in quanto tale, oppure un inasprimento delle pene non porterà alcun giovamento sensibile alla giusta causa della lotta alla pedofilia. Se non si indagano le cause a monte, non si riesce poi a capire perchè le frettolose dighe erette a valle crollino miseramente, nonostante i buoni propositi.


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