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Una lettera aperta

Creato il 28 luglio 2010 da Lucas

caro Giulio,

ieri ho letto su Vibrisse la presentazione del libro di Demetrio Paolin, La tragedia negata (ho scaricato anche il pdf del libro, leggerò). A un certo punto, verso la fine, è scritto che tale libro

«si pone [...] come lettura indispensabile per chiunque abbia intenzione di affrontare un’analisi completa del terrorismo rosso e nero così come viene raccontato nella maggior parte dei romanzi italiani».

Questa frase mi spinge a scriverti questa lettera aperta per sapere la tua opinione su alcune cose che riguardano la letteratura, in ispecie l'italiana. Scrivo a te perché sei un “professionista” (o specialista, se preferisci) e della scrittura e della lettura (ovverosia per quanto pubblichi come autore e per quanto fai pubblicare come consulente editoriale).

La domanda è questa: qual è lo stato dell'arte letteraria in Italia?

Ti dico come la vedo io la questione.

Qualcuno scrive un libro di narrativa, un buon libro con una bella storia, manda il manoscritto a una casa editrice che dimostra interesse e lo fa esordire pubblicandolo. Il libro piace subito al pubblico, magari vince un premio importante, ha successo e resta in cima alle classifiche di vendita per settimane. Lo scrittore esordiente diventa così uno scrittore affermato, riconosciuto. L'oggetto libro, ciò che ha pensato e scritto, diventa la carta di accesso nel pantheon degli scrittori sotto contratto dai quali le case editrici aspettano con ansia i loro prossimi lavori per essere volentieri pubblicati con su scritto “ecco il nuovo romanzo dell'autore de...” e così via. Fine della storia.

Ecco, ti richiedo: lo stato dell'arte letteraria oggi è solo questa cosa? Dietro i libri di un Piperno, di un Giordano, di uno Scarpa, di una Mazzucco, di una Avallone (cito i primi che mi vengono in mente) cosa c'è oltre quanto descritto sopra? Per carità nulla di male, anzi giù il cappello a chi riesce a diventare uno scrittore professionista. Ma, ripeto, cosa c'è oltre questo, dietro cioè la buccia della copertina e della storia in sé narrata? Ovvero, c'è negli scrittori il senso di stare facendo, appunto, letteratura? Ovvero ancora: dietro questo meccanismo di “scrittura-vendita-lettura” resta qualcosa che domani, non ora ma domani, gli «studenti canaglie»addenteranno per sapere di che pasta è composto l'uomo/la donna di oggi? La maggior parte dei romanzi italiani di oggi cosa sapranno raccontare agli italiani di domani? Un Demetrio Paolin del futuro che tipo di libro potrà scrivere in riferimento a questa tarda epoca berlusconiana? Come questi scrittori professionisti di oggi saranno gli scrittori a cui domani fare riferimento, sui quali o dai quali imparare o disimparare, meditare o rifiutare nella stessa misura di quanto è accaduto e sta accadendo con gli scrittori di ieri?

E ancora: quanto i nostri scrittori contemporanei sono innestati nel grande albero della storia della letteratura che cammina a fianco della Storia umana nel suo complesso, lasciando tracce di vita più o meno significative che si ritrovano scritte nelle nostre mani esitanti e nei nostri occhi avidi di conoscere il senso del nostro cammino, o di cogliere il bello e la gioia, o di percepire il dolore e la rabbia, la possibilità o l'impotenza?

In buona sostanza, mi piacerebbe, caro Giulio, sentire la tua opinione sul fatto che ci sia, o meno, negli scrittori di oggi la consapevolezza di stare facendo letteratura, di essere dentro una tradizione, anche per tradirla; oppure se in essi c'è solo quell'idea a cui sopra mi riferivo, vale a dire: scrivere per essere pubblicati, venduti, eventualmente letti.

Il mio timore è che anche per quanto riguarda la letteratura stia accadendo quanto è già accaduto per la musica nel suo complesso ove gli apici nei rispettivi generi sono stati raggiunti e dove adesso l'unica modalità rimasta è quella di essere, tra i musicisti, tutti degli epigoni (sia pur dignitosissimi) castrati però nella loro eventuale pretesa di raggiungere altri vertici, di inventare altri stili, di scoprire nuovi mondi.

Infine, una considerazione sul caso Saviano: possibile che egli sia l'unico scrittore capace di avere una valenza politica oggi in Italia? Possibile che solo lui (ed è un bene da salvaguardare, per carità!) abbia questo potere di incidere la pelle del potere mentre le parole scritte di altri scorrono via dal potere come sapone sotto la doccia? Il potere della parola, potere che nel Novecento gli scrittori anche in Italia hanno avuto, è andato completamente perduto?

Ecco, ho finito. Ti auguro una buona giornata di scrittura e lettura.

Con stima tuo L.


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