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Silenzio, si mangia (di Ceneredirose)
Non potendo prescindere dalla mia condizione di lettrice siciliana in cucina, mi sento moralmente obbligata a scrivere di Salvo Montalbano e del suo rapporto particolare con il cibo.
Chi non lo conosce? Ormai lo scontroso ma affascinate commissario di polizia nato dalla penna di Andrea Camilleri, e protagonista di molti (forse fin troppi) romanzi editi in larga parte da Sellerio, è universalmente noto grazie alla fiction televisiva che da più di dieci anni rallegra le serate dei telespettatori di Rai 1.
Non è questo il posto giusto per parlare del mio rapporto di amore-odio per Camilleri e Montalbano, che oltretutto credo interessi davvero a pochi.
Ma la descrizione minuziosa dei piatti tipici della cucina siciliana e soprattutto le reazioni di Salvo davanti ad un piatto di caponatina cucinato dalla sua cammarera Adelina o alle triglie fritte servite da Calogero, il proprietario della sua trattoria preferita, sono pezzi degni di encomio.
Io mi limito a citarli, voi annusate e gustate. Naturalmente in assoluto silenzio, come Montalbano ama mangiare.
“Appena aperto il frigorifero, la vide.
La caponatina! Sciavuròsa, colorita, abbondante, riempiva un piatto funnùto, una porzione per almeno quattro pirsone. Erano mesi che la cammarera Adelina non gliela faceva trovare. Il pane, nel sacco di plastica, era fresco, accattato nella matinata. Naturali, spontanee, gli acchianarono in bocca le note della marcia trionfale dell’Aida.”“(…) Si sbafò un piattone di triglie fritte arriniscendo a raggiungere una concentrazione da bramino indù, quella che permette la levitazione, solo che la sua concentrazione andava in senso contrario, verso il radicamento più profondo e terragno, vale a dire nel sciauro pungente nel sapore pastoso di questi pesci, con l’esclusione totale di ogni altro pinsero o sentimento.”
E come non ricordare i famosi arancini, talmente importanti da essere scelti come titolo per una raccolta di racconti brevi?
“Adelina ci metteva due jornate sane sane a pripararli. Ne sapeva, a memoria, la ricetta. Il giorno avanti si fa un aggrassato di vitellone e di maiale in parti uguali che deve còciri a foco lentissimo per ore e ore con cipolla, pummadoro, sedano, prezzemolo e basilico. Il giorno appresso si pripara un risotto, quello che chiamano alla milanìsa, (senza zaffirano, pi carità!), lo si versa sopra a una tavola, ci si impastano le ova e lo si fa rifriddàre. Intanto si còcino i pisellini, si fa una besciamella, si riducono a pezzettini ‘na poco di fette di salame e si fa tutta una composta con la carne aggrassata, triturata a mano con la mezzaluna (nenti frullatore, pi carità di Dio!). Il suco della carne s’ammisca col risotto. A questo punto si piglia tanticchia di risotto, s’assistema nel palmo d’una mano fatta a conca, ci si mette dentro quanto un cucchiaio di composta e si copre con dell’altro riso a formare una bella palla. Ogni palla la si fa rotolare nella farina, poi si passa nel bianco d’ovo e nel pane grattato. Doppo, tutti gli arancini s’infilano in una padeddra d’oglio bollente e si fanno friggere fino a quando pigliano un colore d’oro vecchio. Si lasciano scolare sulla carta. E alla fine, ringraziannu u Signiruzzu, si mangiano!“.
Consiglio la lettura di*:
Uno qualsiasi o tutti i romanzi di Andrea Camilleri con protagonista il commissario Montalbano, edizione Sellerio.
(I miei preferiti sono “Il cane di terracotta” e “Il ladro di merendine”).
Gli arancini di Montalbano, di Andrea Camilleri – Mondadori
I segreti della tavola di Montalbano, di Stefania Campo – Il Leone Verde
A presto.
Ceneredirose
* Andrea Camilleri su aNobii (N.d.R.)