Zumo de naranja (di Ceneredirose)
Un albero di arance a intrecciare i destini di due donne. Due donne lontanissime tra loro, non fisicamente, non nel pensiero, ma nel tempo: Itzà è una guerriera inca che combatte contro i conquistadores, Lavinia una donna moderna, laureata, professionista, che vive sotto la dittatura di Somoza in Nicaragua.
Itzà è morta seguendo il suo uomo in battaglia, ma torna a d essere parte del regno naturale reincarnandosi in un albero di arance:
Penetrai nell’albero e lo percorsi come una lunga carezza di linfa e di vita, un dischiudersi di petali, un tremito di foglie. Sentii il ruvido involucro, la delicata architettura dei rami, e mi allungai nei meandri vegetali di questa nuova pelle, mi stiracchiai dopo tanto tempo, sciolsi le mie chiome, e mi affacciai verso il cielo azzurro.
Lavinia, giovane architetto di famiglia benestante e distante dalla politica, bevendo il succo delle arance dell’albero del suo giardino si trasforma, assume una nuova consapevolezza, apre gli occhi all’orrore dell’oppressione, si mette in gioco ed entra far parte dell’ambiente rivoluzionario, fino all’estrema conseguenza.
In estrema sintesi, è questa la vicenda de La donna abitata, della poetessa e scrittrice nicaraguense Gioconda Belli*, libro in parte autobiografico (la Belli è stata impegnata attivamente nel Fronte di Liberazione Nazionale Sandinista), ma è lo stile narrativo particolare e poetico che colpisce e s’imprime nella memoria per non abbandonarla più.
Ecco il momento in cui Lavinia raccoglie delle arance dal suo albero per berne il succo:
(…) Mise l’arancia sul tondo di legno che usava come tagliere e, trovato il punto per fare il taglio proprio a metà, affondò il coltello nella polpa.
Dall’interno dell’arancia aperta, si palesò il giallo. Facce gialle, moltiplicate, che la guardavano. Sembravano succose. Le tagliò tutte e quattro, leccandosi i baffi dal piacere. (…) Spremette le arance fino al fondo concavo della buccia.
Il succo giallo si riversò nel bicchiere di vetro.
Ed ecco lo stesso momento, narrato però da Itzà:
(…) Avevo pensato che tutto si sarebbe compiuto una volta che fossero cadute la arance in terra. Ma non è stato così. Mi sono scoperta a guardarmi in due dimensioni. Mi sentivo sull’albero e per terra. Finché le sue mani mi hanno toccata e allora ho capito che, pur restando nell’albero, ero anche nelle arance.
(…) Lei ci ha aperto con un taglio. Un colpo secco, quasi indolore. Le dita hanno poi premuto la buccia e il succo è fluito. Piacevole. Come sciogliere una delicata tensione interna.
Simile al pianto. Gli spicchi che si aprivano. Le pelli sottili che si liberavano con sollecitudine delle loro lacrime trattenute in quel mondo rotondo. E ci ha poggiato sul tavolo.
Dal recipiente trasparente la osservo. Spero che mi porti alle labbra. Spero che si consumino i riti, che si chiuda il cerchio.
Fuori il sole brilla sulle mie foglie. Viaggia verso la sera.
E’ un libro che non lascia indifferenti, né per la vicenda di cui tratta, né per lo stile narrativo.
Se si vuole approfondire la conoscenza di Gioconda Belli, consiglio la lettura di Il paese sotto la pelle, la sua autobiografia, e le sue intense e sensualissime poesie.
A presto,
Ceneredirose
* (N.d.R.) Su aNobii:
Gioconda Belli
La donna abitata (ed. E/O, 1999, pp. 480, ISBN 9788876414039)
Il paese sotto la pelle (ed. E/O, 2000, pp. 416, ISBN 9788876414220)