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Una lettura non conformistica della crisi in corso

Creato il 05 dicembre 2013 da Conflittiestrategie

Due sono le convinzioni inossidabili sulla natura della crisi economica in atto. Entrambe molto superficiali ma proprio per questo spadroneggianti nei giudizi complessivi di commentatori e politici che si fermano davanti alle manifestazioni fenomeniche, per risparmiarsi lo sforzo di un discorso analitico approfondito.

Accada per sicumera istintiva o per furba convenienza “di classe”, non ha tanta importanza.

La prima è che la débâcle sia stata originata dall’immoralità di un nugolo di banchieri e  finanzieri, incalliti giocatori d’azzardo a spese della collettività e dei suoi risparmi; l’altra che la Germania abbia soffiato sul fuoco della situazione, utilizzando i trattati, le istituzioni europee e la moneta unica come mazze da golf per picchiare sulle teste degli anelli deboli dell’Unione. Il grido d’allarme è stato lanciato dagli Usa, ma l’eco perdura da tempo nello spaesato Vecchio Continente che, sempre raccogliendo i cattivi consigli d’oltreoceano, se la prende con chi viene additato da Washington. Ieri Pechino ed oggi Berlino.

Nonostante l’impatto delle facili impressioni le cose non stanno in questi termini. Non che sia completamente falso quello che viene sostenuto ma trasformare elementi secondari o accessori in moventi principali è un’operazione di subdolo mascheramento della realtà che fa comodo soltanto ai grandi registi dietro le quinte.

Lo sapeva bene l’economista inglese Alfred Marshall il quale testualmente affermava: “in economia accade che né quegli effetti di cause note, né quelle cause di effetti noti, che più sono evidenti, siano in generale gli effetti e le cause più importanti. ‘Quello che non si vede’ è spesso più meritevole di studio di quello che si vede…l’esperienza mostra che l’istinto ed il senso comune sono inadeguati a tale lavoro”. A maggior ragione, possiamo aggiungere, quando la circoscrizione delle causae causantes, “le cause delle cause” attinenti alla nostra attuale problematica, quella di comprendere i fattori scatenanti la crisi sistemica globale, originano al di fuori della sfera economica.

Come ha scritto il pensatore veneto Gianfranco La Grassa non ha molto senso prendersela esclusivamente con l’austerità impostaci da Bruxelles, che pure è alquanto odiosa e irriverente, invocare una revisione degli accordi, o, persino, l’uscita dall’euro o dal carrozzone comunitario, senza nemmeno intaccare, né con le parole, né coi fatti, quella condizione di primigenia sudditanza di tutta l’Ue e dell’Italia dagli Usa e dalla Nato, alla base delle nostre difficoltà.

Qui è il nocciolo del dilemma che nessuno afferra per mancanza di strumenti o di coraggio. Oggi, da destra a sinistra, dal fronte liberale a quello socialdemocratico, dai sottoboschi nazionalisti a quelli cosiddetti alternativi, insomma da Brunetta a Bellofiore, non appena si tocca l’argomento “crisi” si pronunciano le parole fatidiche “Germania e finanza”, e ci si scarica la coscienza reciprocamente tra sorrisi bipartisan e annuimenti fideistici alla Kyrie Eleison.

Si tratta di un tacito accordo trasversale tra loro ed il “sistema” per neutralizzare le effettive voci critiche e tenere ben nascoste la frammentazione delle relazioni e la revisione dei rapporti tra”potenze” che caratterizzano la fase in corso. La crisi che stiamo vivendo è una crisi da sregolazione geopolitica, da de-configurazione degli “equilibri” mondiali, come li avevamo fin qui conosciuti. Questo determina lo scardinamento dei pregressi assetti sociali ad ogni livello. L’economia e le sue leggi sono in ritardo sulla realtà perché ancorate alla rappresentazione di un mondo che va estinguendosi. I rapporti materiali dell’esistenza, per usare un linguaggio marxiano un po’ logoro, stanno ancora una volta per avere ragione delle nostre immutabili convinzioni ideologiche, politiche e culturali. Chi resiste all’inevitabile, senza mutare la propria prospettiva e privandosi di un’ “altra possibilità”, è destinato a perdersi.


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