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Una lotta che non si placa: reportage dal Donbass

Creato il 13 ottobre 2014 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
Una lotta che non si placa: reportage dal Donbass

Dal nostro inviato nel Donbass Eliseo Bertolasi

 
Sono stato nella Repubblica popolare di Lugansk e nella Repubblica popolare di Donetsk. La situazione è disastrosa. È incredibile come una guerra civile di tale portata venga tutt’ora ignorata dal mainstream nazionale. La regione, la più ricca dell’Ucraina, versa ora nella più totale devastazione soprattutto tra le città interessate dai combattimenti.

Muoversi nel Donbass è oggettivamente molto difficile per i numerosi posti di blocco che continuamente sbarrano il transito; oltre a ciò, soprattutto in prossimità del fronte, è reale il costante pericolo di finire sotto il tiro dei cecchini. Lugansk è semideserta, tutto è chiuso. La maggior parte dei suoi abitanti si è rifugiata in Russia tra i campi profughi al di là del confine o presso parenti sempre in Russia o in altre regioni dell’Ucraina. Sono rimasti i più deboli, gli anziani, chi non ha parenti e chi non ha la possibilità di spostarsi. Sono stato anche nella città di Pervomajsk, quest’ultima teatro di violenti scontri nel mese di settembre con le forze di Kiev: sembra ora una città spettrale. Non a caso i miliziani di Lugansk l’hanno soprannominata “la Stalingrado del Donbass”. La distruzione è totale: sono state colpite scuole, asili, abitazioni civili, fabbriche, anche una chiesa. La sensazione è che da parte di Kiev ci sia la volontà di distruggere le infrastrutture della regione.
Le poche persone che incontro mi indicano la direzione di arrivo dei razzi e dei colpi d’artiglieria che hanno colpito le loro case: occidente, dalle zone in mano all’esercito di Kiev. In città non c’è nulla, né gas né acqua né energia elettrica, i negozi i supermercati sono chiusi, non ci sono né generi alimentari né medicinali. I generi alimentari a disposizione sono quelli arrivati dai convogli umanitari dalla Russia, che ora vengono distribuiti dalla Guardia nazionale cosacca di Lugansk.

La situazione a Donetsk è apparentemente migliore rispetto a Lugansk, ma solo in centro nei dintorni del Palazzo dell’Amministrazione regionale e nella parte orientale della città, dove la vita sembra scorrere in una cornice di “normalità” nella guerra: negozi e bar aperti, banche e uffici che lavorano. In strada il flusso delle persone e delle auto sembra quello di routine. Nei quartieri in direzione del fronte, invece, si susseguono le scene di devastazione già osservate nella regione di Lugansk. Donetsk si spegne verso sera, quando alle dieci scatta il coprifuoco e tutto sprofonda nel più totale silenzio rotto solo dal rombo delle bombe.

Il capo del governo della Repubblica Popolare di Donetsk, Aleksandr Zakharčenko, la sera dell’8 ottobre ha tenuto una conferenza stampa. Ha toccato molti argomenti: da come sta andando la guerra contro l’esercito ucraino fino a toccare tematiche di tipo economico e politico su come organizzare la nuova Repubblica. Ha dichiarato che l’aeroporto di Donetsk, il fulcro dei combattimenti, è ora in mano loro. Riguardo ai continui bombardamenti, che tutti i giorni colpiscono la zona, ha aggiunto che partono dai centri ancora in mano all’esercito di Kiev vicini all’aeroporto. Un fatto è certo: la “famosa” tregua tanto enfatizzata non c’è mai stata. Questo lo posso confermare personalmente: i bombardamenti si susseguono ogni giorno.

Mi sono spinto fino a 200 metri dalla linea del fronte vicino all’aeroporto, le abitazioni civili sono distrutte, sventrate dai cannoneggiamenti, tutta l’area è sottoposta al tiro dei mortai e dell’artiglieria ucraina. Arrivare fin sotto la linea del fuoco è impossibile.

Ho intervistato i combattenti sia di Lugansk sia di Donetsk: sono tutti volontari e vengono soprattutto dal Donbass. La maggior parte di loro è infatti costituita da ex minatori di tutte le età, che hanno lasciato il lavoro e si sono recati al “fronte”; tra di loro ho visto anche pensionati e donne. Nonostante vivano e combattano in condizioni durissime, le loro motivazioni sono fortissime: molti ritengono che la guerra non si risolverà presto, ma mi assicurano che indietro non si tornerà. Mi dicono che continueranno “fino alla totale liberazione della Novorossia dalle truppe di occupazione ucraine” che loro definiscono “naziste”. Nei loro discorsi i parallelismi con la Grande Guerra patriottica sono numerosi, la simbologia sovietica è ampiamente utilizzata sia nei manifesti sia nelle bandiere. L’obiettivo finale, mi dicono, sarà la creazione di una nuova entità statuale, la “Novorossia”, che, secondo il pensiero dei suoi ideologi dovrebbe includere non solo le due Repubbliche autonome di Lugansk e di Donetsk, ma tutto il territorio da Kharkov fino a Odessa. L’obiettivo finale è riproporre in chiave attuale quella parte di impero zarista conquistata da Caterina II alla fine del XVIII secolo.

Con gli eventi di Maidan la storia ha assunto una rapida accelerazione nei territori dell’Ucraina, i cui esiti non si sono ancora manifestati nella loro totalità.

Pubblicazione di Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG).

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