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Una mattina mi son svegliato e ho trovato….. l’articolo 65 del decreto sulle liberalizzazioni

Creato il 01 febbraio 2012 da Lucia Navone @lucia_navone

Il caso emblematico di un operatore di Sulmona, la CLEA srl e dell’impianto di Raiano in provincia dell’Aquila: perdite per 440mila euro oltre al blocco di investimenti futuri per altri 3 milioni di euro

Una  mattina mi son svegliato e ho trovato….. l’articolo 65 del decreto sulle liberalizzazioni

Nella foto i fratelli Malvestuto della CLEA srl (Claudio a sinistra e Leandro a destra)

Mentre le Associazioni di categoria del fotovoltaico, la CGIL, una parte della Confagricoltura e altre realtà associative come  l’Associazione Nazionale Costruttori di Impianti (Assistal) levano gli scudi per chiedere a gran voce lo stralcio dell’art. 65 del decreto sulle liberalizzazioni, (quello che di fatto avrebbe cancellato gli incentivi per impianti fotovoltaici a terra sui terreni agricoli) gli operatori, dai più grandi ai più piccoli, stanno facendo i conti con le eventuali perdite qualora la legge non venisse stralciata.

“Una sciabola al cuore che fa grondare sangue”, come qualcuno ha definito il recente provvedimento del Governo che mette a rischio migliaia di euro di investimenti già sostenuti e altrettanti posti di lavoro. Il problema infatti è che, ancora una volta, il decreto arriva a cambiare le carte in tavola mentre i business plan sono già stati definiti e i soldi per costruire gli impianti già spesi. Nuove regole, imposte con retroattività che, secondo il Ministero dell’Agricoltura dovrebbero evitare, “il proliferare di impianti fotovoltaici a scapito dell’agricoltura, soprattutto nelle regioni meridionali” ma  che di fatto al momento, sia pur corrette negli intenti, hanno solo creato ulteriore confusione e allarme nel settore con il risultato che tanti investimenti sono ad oggi congelati in attesa di risposte da parte del Governo.

Ma facciamo un passo indietro.

Il 3 marzo 2011 il cosiddetto decreto Romani stabiliva che i progetti fotovoltaici da realizzare su terreni agricoli già autorizzati a quella data non dovevano sottostare, ai fini del godimento delle tariffe incentivanti, ai nuovi limiti introdotti dal decreto stesso purchè venissero connessi entro un anno dalla pubblicazione, vale a dire entro il 28 marzo 2012. Il successivo Quarto Conto Energia dava attuazione al decreto introducendo le modalità di accesso dei progetti alle nuove tariffe incentivanti. IL GSE ha quindi predisposto le liste dei singoli progetti ammessi alle tariffe. Per realizzare un parco fotovoltaico della potenza di 1 MW ci vogliono circa 3 o 4 mesi, compresa la connessione, e una spesa complessiva di circa 2.5 milioni di euro. Supponiamo che un operatore abbia deciso di investire nella costruzione di un progetto in regola con i requisiti previsti dalla legislazione vigente, incluso nelle liste GSE. Sa di avere tempo per finirlo e connetterlo alla rete elettrica entro la fine di marzo, maturando così il diritto alle tariffe incentivanti. Prudentemente avvia i lavori per tempo e chiude tutti i contratti tra settembre e ottobre dello scorso anno. E’ dunque ormai prossimo al completamento dei lavori e ha già speso l’80/90% della spesa prevista. Nel frattempo però c’è un cambio di Governo e, lo stesso operatore, si sveglia il 25 gennaio 2012 e scopre che un articolo contenuto nel tanto discusso pacchetto liberalizzazioni ha cancellato il termine del 28 marzo 2012 del decreto Romani. Probabilmente l’operatore potrebbe pensare ad un errore ma nel frattempo l’investimento è andato in fumo e l’impianto ormai prossimo alla connessione non ha più diritto alle tariffe incentivanti.

Tornando ad oggi, quindi in Italia ci sono centinaia e centinaia di impianti già realizzati, già posizionati nelle aree agricole,  pronti per essere connessi ma di cui non si conosce il destino.

Una  mattina mi son svegliato e ho trovato….. l’articolo 65 del decreto sulle liberalizzazioni

L'impianto di Raiano in provincia dell'Aquila

Un caso, su tutti, quello dell’impianto di Raiano (AQ), di potenza nominale di 105 kWp, finanziato interamente con capitale privato, del valore di 300 mila euro. A realizzarlo, la CLEA srl che ha sede a Sulmona in provincia dell’Aquila, di proprietà di Claudio e Leandro Malvestuto. Due fratelli che da cinque anni si occupano di realizzare e gestire impianti per la produzione di energia rinnovabile, con 16 dipendenti tra tecnici ed operai ed un volume di affari annuo di circa 7 milioni di euro.

“L’impianto”, ha spiegato Claudio Malvestuto, Amministratore della CLEA, “è stato ultimato ad ottobre 2011. Da quattro mesi stiamo aspettando la connessione da parte del Gestore di Rete e ad oggi l’impianto non risulta ancora entrato in esercizio. Impianto che, a regime, avrebbe dovuto ottenere ricavi annui pari a 32 mila euro di cui 22 mila dal Conto Energia e 10 mila dalla vendita dell’energia”.

“Qualora l’articolo 65 venisse confermato”, ha proseguito l’amministratore della CLEA, “avremmo una perdita complessiva di circa 440 mila euro oltre al fatto che abbiamo già ottenuto una delibera di Leasing  per finanziare il costruito. Delibera che ovviamente verrà bloccata e che avremmo voluto utilizzare per la realizzazione di altre 2 operazioni della stessa natura su capannoni industriali nell’area industriale di Raiano e Sulmona. Queste aree, tra l’altro, si trovano nella Valle Peligna, territorio che rientra tra le zone in forte crisi elencate nel D.M. Sviluppo Economico 27 marzo 2008 ex art. C e  che verrebbero di fatto “congelate” con riflessi negativi sia per la nostra azienda che per l’indotto occupazionale”.

“La sensazione che abbiamo”, ha spiegato ancora Malvestuto, “ è che noi imprenditori stiamo giocando una partita e che durante il gioco ci fosse un arbitro invisibile (il Governo) che interviene per cambiare le regole solo a favore dell’avversario: in questo caso la crisi. Grazie al fischio di questo nuovo arbitro stiamo subendo una punizione un po’ troppo pesante: la perdita di 5 nuovi lavori per un totale di 1,500 kWP, vale a dire circa 3 milioni di euro e, se costretti, anche una riduzione del personale di circa il 30%. Pur non entrando nel merito della scelta di bloccare o meno gli impianti a terra ciò che chiediamo è di poter operare in serenità e nel rispetto di una legge, il decreto Romani, che già a suo tempo fu traumatica per il settore. Questo blocco, al di là del destino dell’ articolo 65, non ci sta consentendo  di avere liquidità necessaria per l’avvio di nuove iniziative. Il modello finanziario da noi scelto (finanziamento al costruito) non è sostenibile e chi come noi ha deciso di utilizzare capitale proprio resta imbrigliato in un’iniziativa con un ritorno sull’investimento troppo lungo. “E poi”, ha proseguito Malvestuto, “i clienti potenziali decisi ad investire sul fotovoltaico sono in attesa di avere ulteriori chiarimenti. In un periodo di forte crisi è fondamentale scegliere investimenti sicuri e con ritorni certi. Questo provvedimento retroattivo ha solo aumentato la sfiducia nelle istituzioni e in pochi sono disposti a rischiare”.

“Un governo tecnico”, secondo l’amministratore della Clea, “dovrebbe avere l’accortezza di valutare gli effetti dei cosiddetti provvedimenti “urgenti” utili al risanamento del paese Italia ma a quanto pare sta commettendo gli stessi errori del passato. Speriamo abbiano il buon senso di rivedere l’errore commesso nella conversione in legge del decreto”.

“Purtroppo però il danno è fatto”, ha concluso Malvestuto.  “Mi spiega come faremo a convincere i nostri clienti che si è trattato solo di una svista del legislatore e che ora possiamo andare avanti come se nulla fosse accaduto?”

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