Dopo aver intervistato Stefano Bigi con telefonate tra Roma, Milano e Tokyo, finalmente siamo riusciti a conoscerlo di persona in una splendida mattinata di sole.
Arrivati alla sede della Bigi e della West Point, la prima cosa che ci ha colpito è il bellissimo palazzo dove vive questa realtà artigianale, italiana e che sta riscuotendo successo anche a livello internazionale, che racchiude quel senso di tradizione che si continua a tramandare nel cuore di Milano. Una storia cominciata nel 1938 dal nonno Luigi Draghi con il marchio Pulcher, continuata dal genero Daniele Bigi e arrivata negli anni novanta alla terza generazione.
Stefano è un ragazzo (ma sì ce lo permetta anche lui, vista l’energia che trasmette) entusiasta del suo lavoro e della vita, che ci accoglie con un sorriso carico di sincera ospitalità.
Nelle due ore e mezza trascorse nello show room abbiamo scoperto come il padre di Stefano abbia tramandato sani valori famigliari e professionali ai due ragazzi, non dimentichiamoci che accanto al padrone di casa c’è una padrona di casa che è la sorella Paola, che tornano spesso nei discorsi del titolare.
Materiali selezionatissimi, con una ricerca della qualità costante, hanno caratterizzato le scelte dei due fratelli, che spesso hanno combattuto contro un mercato che navigava contro di loro, ma comunque premiati alla fine dalla loro costanza con il riconoscimento di cravatte di indubbia eleganza e pregiatezza.
La linea originale, l’Etichetta Blu, è caratterizzata dal classico, rivisitato in minima parte, ma comunque sempre presente, anche in tagli d’antan o in confezioni incredibili come quelle da 50 Once (veri gioielli) che risvegliano il tocco di qualsiasi appassionato. La linea Etichetta Azzurra invece, presente sul mercato asiatico, in particolar modo in Giappone dove Bigi è diventato un punto di riferimento, ha caratteristiche più estroverse, meno formali, ma questo senza togliere la possibilità (visto che c’è) di abbinare l’accessorio a capi più eleganti.
Dallo show room siamo passati al laboratorio, il portone di fronte, dove siamo stati rapiti dall’atmosfera di altri tempi che impregnava il luogo. Qui le “ragazze di Stefano” (ama chiamarle le “sue ragazze”) lavorano come un tempo i tessuti, confezionando e controllando ogni pezzo con occhio attento e senza perdere il sorriso. Un nutrito gruppo di artigiane che in un clima di amicizia e serenità porta avanti un mestiere che va scomparendo.
Una volta usciti ci siamo fermati un attimo sul portone, per pensare, forse retoricamente, a quante realtà incredibili e di qualità vivono la nostra penisola.
Realtà che vogliamo continuare a scovare e di cui vogliamo parlare con voi, sulle nostre pagine.
Buona scelta
IBD