al
california bakery di viale piave si può ordinare un caffè seduti ai tavolini
sul marciapiedi per un euro, servizio e caraffa d’acqua fredda compresi. è un
luogo spesso popolato di insopportabili fighetti, ma l’altra mattina c’eravamo
io, un tale in bermuda e due altri signori. sento una melodia dietro le spalle,
un accento straniero noto, le parole “balotelli” e “fantasia al potere”. è un
signore, in compagnia di un amico, che si rivolge scherzosamente a un cane di
piccola taglia. gli parla in greco, perché è greco. all’età di dodici anni
avevo un’amica greca che si chiamava tina. credo che suo padre lavorasse
all’italsider. sua madre, nella mia fantasiosa memoria, era somigliantissima a
maria callas. in casa sua regnava un costante odore di anice e di biscotto, i
suoi genitori si amavano e se lo dimostravano. e insomma io avevo imparato a
parlare il neogreco da quella bambina con quella casa così ospitale che tanto
volentieri frequentavo. ho sempre amato la lingua prima e più della persona
stessa; un tempo ho sposato un uomo perché ne amavo l’accento francese.
il
signore greco e il suo amico greco e il cane di piccola taglia greco
chiacchierano e si divertono. chiedono caffè a ripetizione, in italiano con
accento greco, poi tornano a parlare tra loro nella loro lingua e pare di
vederli in qualche bar ateniese o in una piazzetta di creta, con i loro caffè,
la loro acqua fredda, un’ombra di ouzo. ridono molto, anche se davanti a loro
scorre il traffico estivo di viale piave e non c’è il mare blu.
bisogna
sapere che chi scrive ha deciso di sposarsi: in questa mia fase
wedding-oriented, dopo il mio incontro al california, ho deciso che il mio
sposo sarà greco, o niente (o, in alternativa, mi si rivolgerà in un greco
perfetto). endaxì?
episodio accessorio: mentre sorbivo il mio caffè lungo e il mio
orecchio si deliziava con l’eloquio straniero leggevo anche sul kindle. il tale
in bermuda di cui sopra, un tipico milanese alternativo (per dire, pur avendo
una quarantina d’anni ha concluso una sua telefonata nel seguente modo: “bella
lì, a stasera”), mi ha chiesto informazioni sull’aggeggio, se facesse qualche
altra cosa oltre a leggere, se fosse insomma un po’ come un’ipad. no, gli ho
detto, poi gli ho snocciolato brevemente la mia teoria che sul kindle si legge
bene anche perché non si è distratti dalla grafica. oh, e insomma grazie, mi ha
detto, e si vedeva che avrebbe voluto proseguire la conversazione. io gli ho
scritto su un foglietto il nome del device e dove poteva procurarselo e mi sono
immantinente dileguata: non avevo alcuna intenzione di avviare una conoscenza
con qualcuno che non provenisse almeno da santorini.
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