E così mangiavo poco, in quel periodo, prevalentemente mele verdi, e camminavo in media dieci chilometri al giorno. Tutta la città a piedi. Tutta. La mattina prendevamo il ferry da Staten Island e tornavamo la sera, a volte a notte fonda. Una volta andammo a un concerto jazz al Village Vanguard. Si fumava, allora. Era un vero jazz club, buio e sotterraneo e fumoso.
Una volta incontrammo un ragazzo bellissimo che sembrava James Dean e che ci portò a fare un giro al parco. Scoppiò un temporale, io mi tolsi le espadrillas per non far sciogliere la suola e corsi a rifugiarmi con lui sotto l'arco che c'è vicino alla Behesda Fountain (ci sono stata di recente e l'ho riconosciuto). A piedi nudi nel parco, cantando sotto la pioggia e saltellando per evitare i cocci di bottiglia e le siringhe.
Una volta incontrammo un ragazzo simpatico che comprò due birre per noi ultraminorenni e bevve con noi dal sacchetto di carta marrone per la strada. Poi, visto che si avvicinava l'alba, ci invitò a casa sua a fare colazione. "Volentieri!" rispondemmo. "Dove abiti?" "Nel Bronx." E via, in metropolitana, a fare colazione nel Bronx alle 5 del mattino con uno sconosciuto (era la parte residenziale del Bronx, quella non pericolosa, ma noi non lo sapevamo).
I nostri genitori, ovviamente, non sospettavano nulla. L'unica volta che ci tradimmo fu il giorno che ce ne andammo a spasso per Harlem. (1. Continua)