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Uno di questi è l'aeroporto di Bahrein. E' un po' periferico rispetto ai colossi degli Emirati vicini, quindi mantiene quel misto di internazionalità moderna e smaccata, unita all'atmosfera mediorientale ed esotica del Golfo. Al di là delle vetrate, anche se stai infagottato per ripararti dall'aria condizionata polare, senti ugualmente o per lo meno immagini il soffio caldo del deserto, il mare ribollente ma immobile, solcato da pirati e petroliere, i fermenti di un malessere non passeggero che serpeggia come un virus aggressivo e forse letale. La notte sembra non esistere come in tutti gli aeroporti del mondo, ma qui i grandi spazi espositivi dei negozi paiono più assonnati del solito, gli addetti meno mobili, mentre le vetrinette stentano ad aprirsi. Qualche richiamo, qua e là sulle pareti, alla costa delle perle, poi il consueto occhieggiare di marchi ammiccanti ed esclusivi, l'esibirsi di merci così lussuose che si vedono solo sui fogli più patinati di riviste ancor più esclusive. E la gente che si aggira lenta tra gli espositori retroilluminati, è anch'essa particolare, diversa. Ecco laggiù un gigantesco africano con un colorato vestito tradizionale che la borsa di pelle fine e i gemelli preziosi che spiccano sulla manica della camicia che fuoriesce dalla galabeya, tradiscono come un qualche plenipotenziario inviato a fantomatici congressi di importanza vitale per le sue tasche capaci e rapaci.
Rimane a lungo immobile davanti ad una sfilata di orologi preziosi dai prezzi a 5 cifre, che guarda con l'occhio attento del conoscitore, forse almanaccando come investire la prossima tangente. Ad un tavolino di un bar esclusivo, due uomini in scuro elegante parlano a voce bassa. Uno è indiano con lunghe basette e folti baffoni grigi, l'altro, europeo, consulta con aria distaccata una brochure patinata, come indeciso se comprare o meno. Il primo continua a parlare con voce suadente, melliflua. Di certo gli illustra i vantaggi innegabili di un'offerta che non si può rifiutare, capirà, son venuto apposta senza trascorrere il Diwali in famiglia, pensi a come ci tenevo ad incontrarla. Dalle scale mobili, un anziano piccolo e grasso guida un piccolo corteo di donne velate, tutte più grasse di lui ed un cospicuo numero accessorio di bambini muti ed indecifrabili, che spingono carrelli sormontati da bagagli di proporzioni da esodo. La processione si avvia di buon passo verso il gate per Sana'a, ultima chiamata. Poi d'un tratto, come se i non molti personaggi che popolano la notte si fossero smaterializzati, confondendosi mescolati ai colori delle pareti, ecco arrivare una coppia che, pur senza apparire, fa il vuoto intorno a sé. Sono entrambi altissimi e camminano come fossero unici, alieni in un mondo di nani, di servi, di gente inferiore. Lui magro e slanciato, di cui si indovina comunque un corpo sano e sportivo sotto la tunica così bianca ed immacolata da non riuscire a strisciare per terra per l'orrore di lordarne i bordi.
Una kefiah altrettanto candida ben fermata dal doppio cordone corvino e quasi lucido, dai nodi ben formati, incornicia un volto nobile, con un accenno di barba non curata ma curatissima. Un naso nobile sostiene dei rayban a specchio a nascondere uno sguardo che non si posa su nulla, sfiora soltanto le cose perché nessuna è abbastanza importante. Il braccio destro giace disteso lungo il corpo, non riesce neppure a sollevarsi per il peso del Rolex d'oro e diamanti. Mani curate, lunghe e sottili. La sinistra tiene leggera quella di lei, la Principessa delle Mille e una notte. La sua tunica, nera giaietto, preziosa col suo finissimo bordino d'oro, non riesce a nascondere il tacco 12 a stiletto rosso fuoco che compare e sparisce ad ogni passo, fasciando un corpo che indovini dal movimento, flessuoso e felino, che si nasconde con una malizia carica di mille promesse segrete. Un severissimo niqab, nero anch'esso bordato d'oro, le copre completamente il capo ed il volto, di certo bellissimo, con la parte anteriore quasi sospesa su un naso altero, irridente, coscio della propria bellezza segreta. Poi dalla sottilissima striscia lasciata scoperta ecco emergere due incredibili occhi fatati, che le spesse righe nere del kajal rendono ancor più vivi e penetranti, bellissimi, due pupille di carbone ardente che lasciano sguardi illanguiditi su un mondo inferiore, indegno di essere valutato. L'enorme borsa Luis Vitton nasconde a malapena i pacchetti marchiati Hermes, Bulgari e Prada. Poi la visione scompare tra sentori di sandalo, patchouli e cinammomo. Ecco, chiamano il mio volo.
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