Grazie all’ENA devo ammettere che sto facendo parecchie esperienze da un anno a questa parte. Ma quella che sto per raccontarvi le ha superate tutte, quanto ad intensità e ad emozioni. Ho conosciuto gli eroi senza nome, che ogni notte tentano di salvare esseri umani che non vogliono farsi salvare: sono i ragazzi del SAMU Social.
Questi eroi della notte sono dei veri professionisti: infermieri, assistenti sociali, psicologi, sociologi, persone preparate che se ne infischiano di avere un bello stipendio perché vengono ripagati da una ricchezza umana incommensurabile. Loro preferiscono vagare nella notte con i loro attrezzi di primo soccorso e di prima necessità, in cerca di anime abbandonate. Bisogna avere il cuore pieno d’amore per fare questo lavoro. Un lavoro appassionante del quale spesso non si vedono i risultati.
Le strade di Parigi la notte sono vive. Sono le case delle persone dimenticate. Di quegli uomini, di quelle donne che prima facevano una vita normale e che poi, per scelta o in seguito ad uno shock, sono finite lì, nel grande ed inospitale albergo urbano, fra ratti, malattie, penuria di cibo e freddo da gelare le ossa.
Un mondo parallelo che molti di noi disconoscono. Sono persone più forti delle altre, perché nessuno in condizioni normali sopravvivrebbe al gelo dell’inverno parigino. Ma sono anche più deboli, perché sopraffatti dall’alcol, dalla droga o da una grave disgrazia umana.
I clochard vivono nel loro mondo di isolamento e certuni hanno perso totalmente la voglia di vivere. Sperano solo che la morte se li venga a prendere e se la cancrena comincia ad aggredire le loro gambe, loro neanche se ne accorgono perché non sentono più il dolore.
Gli eroi senza nome, gli impavidi ragazzi del SAMU Social, vivono in questo inferno e riescono a mantenere sempre il sorriso. Quando pattugliano la città e trovano quel senzatetto che è stato segnalato al 115, si fermano, scendono dal minivan con gli occhi pieni di speranza e gli vanno incontro stringendogli la mano. Ecco, questo mi ha colpito molto. Potevano essere moribondi, ubriachi, tubercolotici o semplicemente folli, ma l’infermiera si avvicinava e come prima cosa stringeva la mano. Queste persone possono aver perso tutto ma non la loro dignità.
Abbiamo incontrato una donna che avrebbe potuto avere l’età di mia madre ma sembrava infinitamente vecchia perché aveva perso tutti i denti. Era vestita a strati e faceva un fetore tale che ho rischiato di svenire (in questo caso mi hanno fatto odorare un disinfettante e sono stata meglio, ma di solito le matricole svengono). Era una maestra del nord della Francia, che tre anni prima, ci raccontava, aveva inavvertitamente fatto cadere un bambino dalle sue braccia durante il lavoro. Era finita in prigione e nella spirale dell’alcol. Poi aveva deciso di piombare a Parigi per lasciarsi l’orrore alle spalle.
Ma la strada la stava pian piano uccidendo, cominciando dalla pelle del suo corpo, ricoperta da una malattia che non avrei saputo identificare. In realtà stava per strada da dodici anni. Molti centri di accoglienza si rifiutavano di prenderla per la notte, a causa di passati episodi di aggressività. Ma Madame aveva mantenuto un forte senso della propria dignità, non era disposta a mendicare ospitalità. Ci diceva: “Non importa se nessuno mi vuole, rimango per strada io”.
La SAMU è un organismo fra il privato e il pubblico. Finanziato da molti, di soldi ne dispone sempre troppo pochi. Ci sono circa 10 mila persone a Parigi che dormono senza un riparo. E i centri d’urgenza sono sempre superaffollati. L’urgenza è gestita sorprendentemente bene, nonostante la scarsità di fondi. Ma il grande problema è l’accompagnamento di quelli che chiamano in modo asettico gli “utenti” al ritorno ad una vita normale. Non c’è un programma per farli ritornare a quella che noi definiamo “normalità”. Anche perché molti di loro non lo accetterebbero, dopo aver vissuto dieci, quindici, vent’anni per strada. Mi raccontavano che parecchi uomini vengono ospitati in queste case di cura per tre, quattro mesi, fino a guarire completamente. Le gambe e le mani, sono soprattutto gli arti ad infettarsi per primi, ritornano a funzionare, ma poi al momento del guarimento gli infermieri sono costretti a dimetterli per curare altri. E i primi tornando in strada si riammalano in un ciclo senza fine.
In questa notte anch’io indossavo il giubbottino blu della SAMU. Mi hanno detto che ero già una di loro, perché non avevo paura ad avvicinarmi alla gente, né imbarazzo a parlare con loro. Queste anime hanno bisogno di parlare e sentire che c’è qualcuno che li ascolta, perché sono molto soli. Ne abbiamo incontrati tre che parlavano italiano e quando mi hanno vista hanno cominciato ad elencare tutti i piatti italiani che amavano e che avrebbero voluto tanto mangiare. Gli abbiamo dato un pasto caldo, ma purtroppo potevamo accogliere solo uno di loro, perché aveva la febbre e visibilmente non stava bene. Quando abbiamo dovuto lasciare gli altri due per strada mi piangeva il cuore.
Mi sono sentita impotente e questo sentimento affiorava dal mio volto in modo impressionante. Tieni il sorriso, mi hanno detto, in questo lavoro se non sorridi e scherzi, è finita. Spesso i politici francesi vengono a “marauder” come ho fatto io. Circondati da uno sciame di giornalisti, per loro è una grande opportunità per farsi pubblicità. Accanto alla SAMU operano più di 150 associazioni di volontariato solo su Parigi. Senza di loro, mi spiegano, sarebbe un disastro. Sono troppe le persone che hanno bisogno di un aiuto. E la gente che si passa una mano sulla coscienza donando denaro ai mendicanti, non fa altro che aprire loro le porte degli spacci di alcolici. Il denaro dovrebbero donarlo alle associazioni che sanno come prendersi cura di loro.
Non ho potuto non domandare: ma esistono dei casi a lieto fine?
Sono molto pochi, mi hanno risposto. Sono quelli per cui riusciamo a rendere disponibile un posto in una casa di ritiro (“maison de retraite”). Passano la loro vecchiaia coccolati, giocando a carte o a scacchi come tutti gli altri anziani, e finalmente sono profumati. Sono pochi i casi in cui questi uomini randagi hanno accettato di farsi salvare. Ma per gli eroici ragazzi della notte non è quello lo scopo finale. Per loro la notte è stata positiva se le anime che hanno recuperato si sono fatte curare, hanno accettato un pasto caldo, un caffè, dei calzini o un sacco a pelo pulito e magari, se erano proprio ben disposti, hanno acconsentito a farsi accompagnare in un centro per ospitarli la notte.
Ylenia CITINO