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Una nuova era per le relazioni turchia-usa?

Creato il 05 settembre 2012 da Eurasia @eurasiarivista
Turchia :::: Andrea Puzone :::: 5 settembre, 2012 :::: Email This Post   Print This Post UNA NUOVA ERA PER LE RELAZIONI TURCHIA-USA?

Oggi si parla di una “età dell’oro” delle relazioni tra Turchia e Stati Uniti. La “Primavera Araba”, la posizione della Turchia sulla Libia e l’installazione dello scudo antimissile sul suolo turco rendono nuovamente preziosa la Turchia agli occhi degli statunitensi.

 

Da quando la Turchia ha iniziato a diventare una potenza regionale nel Vicino Oriente sono state formulate ipotesi molto differenti riguardo alle relazioni turco-statunitensi. Negli ultimi anni, il dibattito sullo “spostamento assiale” nella politica estera turca è rimasto all’ordine del giorno per politici, commentatori, opinionisti e legislatori. In parallelo, le divergenze tra l’agenda della Turchia  e quella degli Stati Uniti riguardo al Vicino Oriente hanno portato a ipotizzare scenari disastrosi per le relazioni turco-statunitensi in essere. In particolar modo dopo la decisione del parlamento turco sull’Iraq, il 1° marzo 2003, molti commentatori statunitensi cominciarono a sollevare dubbi sulla lealtà della Turchia agli USA. In seguito a questo evento, le relazioni tra i due paesi sono sembrate “zigzagare”.

Nonostante i segni di un miglioramento delle relazioni iniziassero ad emergere dopo il summit Erdoğan-Bush del 5 novembre 2007, in seguito al voto “no” della Turchia al Consiglio di Sicurezza ONU sulle sanzioni all’Iran, e alla crisi della Mavi Marmara, riaffiorarono nuovamente ipotesi di scenari catastrofici. Come dice Nuh Yılmaz, «l’estate del 2010 fu caratterizzata da intensi dibattiti circa temi quali lo “scivolamento dell’asse della Turchia”, “Chi ha perso la Turchia?”, “l’autoritarismo della Turchia”».

Ma, oggi, si parla di una “età dell’oro” delle relazioni tra Turchia e Stati Uniti. La ““Primavera Araba””, la posizione della Turchia sulla Libia e l’installazione dello scudo antimissile sul suolo turco rendono nuovamente preziosa la Turchia agli occhi degli statunitensi.

La scorsa settimana abbiamo letto un rapporto molto interessante sulla nuova era delle relazioni turco-statunitensi. «I principali cambiamenti che hanno travolto sia la Turchia che i suoi vicini dalla Guerra Fredda in poi richiedono che Washington stabilisca una “nuova partnership” con Ankara, secondo una nuova relazione realizzata martedì dall’influente Council on Foreign Relations (CFR)».

Oggi, vogliamo interrogarci sullo “zigzagare” nelle relazioni tra Turchia e Stati Uniti. E’ realtà o finzione? A quali condizioni possiamo comprendere tale mutevolezza? La Turchia è veramente indipendente dall’egemonia statunitense in politica estera? In questo quadro, qual è il ruolo del concetto di “soft power”?

C’è qualche bacchetta magica lì?

«Sono acqua passata le infiammate conversazioni riservate dello scorso anno tra il presidente Barack Obama e il primo ministro Recep Tayyip Erdoğan, dopo lo sbalorditivo voto “no” della Turchia alle sanzioni contro l’Iran in sede di Consiglio di Sicurezza ONU. La preoccupazione circa un potenziale spostamento dell’asse della Turchia e un suo abbandono dell’Occidente – o, almeno, le discussioni aperte riguardo a tale preoccupazione – sono considerevolmente diminuite a Washington. Improvvisamente ci troviamo in quella che io chiamo “primavera turco-statunitense”. Ma è reale? Intendo, realmente reale?» dice Ali H. Aslan, del quotidiano Today’s Zaman. «Dobbiamo l’attuale atmosfera positiva nelle relazioni turco-statunitensi a molti fattori, primo tra tutti lo sminuimento sempre maggiore degli Stati Uniti a causa di gravi problemi economici e di politica estera. Non importa quanto i turchi possano talvolta essere fastidiosi, la Turchia è divenuta una pedina indispensabile nella sua zona strategicamente difficile – se non nel mondo – e gli USA devono convivere con questa situazione. Analogamente, nonostante occasionali atti di arroganza statunitensi, anche il bisogno di Ankara di conservarsi gli Stati Uniti  come partner regionale e globale è più che evidente».

In più, «Cos’è successo per causare una svolta a 180 gradi nelle relazioni in un periodo tanto breve? C’è sempre lo stesso presidente alla Casa Bianca. In Turchia, il Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) è sempre in carica. Come possiamo, adesso, parlare di età dell’oro nelle relazioni quando un anno fa tutti a Washington si domandavano se la Turchia era andata perduta o perché aveva mutato il suo asse politico? Se tutto cambia così rapidamente, cosa ci garantisce che tutto ciò non sarà rivoltato l’anno prossimo? Supponiamo che il Congresso affermi che in passato la Turchia commise genocidio contro gli armeni. Torneremo ancora una volta nell’epoca buia? Come possono le relazioni mutare così velocemente? Non c’è alcun modo per prevenire questi improvvisi flussi e riflussi?» si chiede Abdulhamit Bilici, del Today’s Zaman. «A mio giudizio, ci sono due ragioni per il modesto stato in cui versavano le relazioni turco-statunitensi un anno fa. La prima era il “no” della Turchia alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza ONU sulle sanzioni all’Iran. L’altra era l’impatto della crisi della Mavi Marmara. Considerato che fatti come la stabilità politica della Turchia, i suoi successi in economia malgrado il collasso economico dell’Occidente e l’armonia tra il primo ministro Recep Tayyip Erdoğan e il presidente USA Barack Obama esistevano anche l’anno scorso, rimangono due sviluppi che potrebbero cambiare le relazioni nel corso di un anno. Primo, la Turchia ha concordato di ospitare un sistema radar NATO. Secondo, la “Primavera Araba” ha riqualificato la posizione della Turchia agli occhi degli Stati Uniti, facendo di essa una pedina molto preziosa, ed entrambi i paesi stanno perseguendo politiche simili a tale riguardo».

Come dice Ali H. Aslan, le recenti mosse della Turchia per distanziarsi dall’Iran (accordandosi per ospitare il radar NATO di difesa antimissile) e dalla Siria (liquidando il regime di Assad) hanno fatto appello in primo luogo al governo USA.

Quando guardiamo alla storia delle relazioni turco-statunitensi, abbiamo in primo luogo l’impressione di una “partnership strategica” a favore degli Stati Uniti. Ma oggi esiste un nuovo concetto, quello di “partnership modello”. Qual è la differenza tra essi e cosa significa questa transizione?

Dalla partnership strategica alla partnership modello

«La “partnership strategica” fu istituita contro il pericolo sovietico dopo il 1945, ed era basata su una “asimmetria” in favore degli Stati Uniti. Malgrado la scomparsa del comune nemico con la fine della Guerra Fredda, questa relazione continuò su di una struttura simile» dice Nuh Yılmaz. «Il rifiuto del parlamento turco di  permettere alle truppe statunitensi di invadere l’Iraq attraversando la Turchia, il 1° marzo 2003, rappresentò la fine della “partnership strategica”.

A suo parere, la “partnership strategica” riguarda l’azione congiunta di due alleati, contro un comune pericolo, nelle aree militari, politiche e di intelligence. Una tale alleanza richiede cooperazione in numerose aree, principalmente contro un pericolo militare, o l’adeguamento a un nuovo allineamento strategico nella regione, oltre alla condivisione di tecnologia e intelligence.

Come sostiene Yılmaz, se guardiamo al tempo della sua istituzione la partnership strategica era basata sulla decisione geopolitica della Turchia di schierarsi, riguardo alla sicurezza, con il blocco occidentale, cooperando con NATO e USA, durante la Guerra Fredda, contro il pericolo russo situato a nord. Così facendo, la Turchia si protesse da possibili rivendicazioni territoriali e riguardo agli Stretti da parte della Russia.

Dopo la guerra in Iraq, «La Turchia cominciò ad accrescere il suo ruolo regionale avvantaggiandosi del vuoto creato dagli Stati Uniti. Nello stesso momento, il paese provò a sviluppare e sostenere per conto proprio relazioni bilaterali, mentre cercava di rafforzare l’interesse nazionale. Il più ovvio indicatore di questo cambio nella politica estera della Turchia fu forse l’ospitalità di Ankara al leader politico di Hamas Khaled Mashal nel febbraio 2006. Gli Stati Uniti consideravano Hamas un’organizzazione terroristica, e la Turchia non sentì la necessità di informarli prima della visita. Ciò aggiunse ulteriori tensioni alle relazioni, ma, allo stesso tempo, aprì una nuova possibilità di cooperazione in differenti settori. Entrambi i paesi accrebbero i propri sforzi nel trovare aree di collaborazione, e le nuove relazioni di Ankara nel Vicino Oriente avrebbero potuto essere una risorsa per la sempre più problematica presenza degli USA nella regione».

«La “partnership modello” doveva definire il nuovo tipo di relazione e prendere il posto della “partnership strategica”. Fino a quel momento, il solo punto sul quale entrambe le parti erano d’accordo era questa stessa volontà. In altre parole, entrambi concordavano sull’idea di una partnership modello, ma consideravano questa come un concetto vuoto; continuarono comunque a intendere questa struttura differentemente», dice Nuh Yılmaz. «La Turchia la intese come il proprio riconoscimento quale attore, non come una struttura da sviluppare attorno a questioni politiche. Ciò significava il riconoscimento quale entità politica indipendente, l’essere visti come un partner alla pari al tavolo negoziale e il basare tutti i rapporti su questa eguaglianza. Tutte le altre questioni politiche avrebbero potuto essere definite solo su queste basi. Gli Stati Uniti guardarono ad essa come ad una revisione della relazione gerarchica che esisteva nella partnership strategica. Gli USA cercarono di affrontare le preoccupazioni della Turchia attraverso variazioni e adattamenti politici. L’insistenza della Turchia nella sua richiesta di diventare un partner alla pari, e la percezione americana del problema a livello politico, ostacolarono una revisione delle relazioni bilaterali, sebbene ci fossero tutte le condizioni necessarie. Perciò, i miglioramenti previsti nei rapporti non arrivarono, e il 2010 fu un anno ricco di crisi».

Yılmaz dispone in ordine queste crisi come segue:

«Malgrado tutti i buoni propositi e la volontà di creare una partnership modello, il 2010 iniziò con una crisi nelle relazioni turco-statunitensi. Ai primi di marzo, la Turchia richiamò per consultazioni il proprio ambasciatore negli Stati Uniti dopo il passaggio del disegno di legge sul genocidio armeno alla Commissione Relazioni Estere della Camera. La Turchia considerò il disegno di legge contrario alla partnership modello, mentre gli Stati Uniti pensarono che i turchi avessero reagito in modo eccessivo al problema. L’ironia di questa crisi degli ambasciatori divenne evidente durante la seconda metà dell’anno. Nessun ambasciatore statunitense fu mandato in Turchia, visto che il Senato non aveva ancora confermato il nuovo rappresentante.

In seguito a questa crisi, le relazioni entrarono in una spirale discendente. La visita di Erdoğan a Washington per presenziare al summit nucleare, all’inizio di aprile, non fu annunciata fino all’ultimo momento. Erdoğan incontrò Obama durante la sua visita e i negoziati furono rivolti a preparare il terreno per le discussioni sul nucleare tra Turchia, Iran e Brasile. Quando gli sforzi di Turchia e Brasile portarono alla Dichiarazione di Teheran del 17 maggio, Washington rigettò l’accordo sulla base del fatto che esso non dava una risposta alle principali preoccupazioni della comunità internazionale sul programma nucleare iraniano. Gli Stati Uniti annunciarono senza indugio che sarebbero andati avanti con le sanzioni in sede ONU. Turchia e Brasile continuarono a difendere l’accordo sostenendo che il testo fu scritto basandosi sulle lettere di Obama ai leader brasiliano e turco, e che fu negoziato in coordinamento con Washington.

Le relazioni Stati Uniti-Turchia divennero più tese con l’incidente della Mavi Marmara nel maggio 2010. Nove attivisti civili (otto cittadini turchi e un turco-statunitense), furono uccisi da soldati israeliani in acque internazionali in un’operazione mirata a impedire al convoglio di aiuti esteri di raggiungere Gaza. La Turchia si disilluse riguardo agli Stati Uniti, dal momento che non ebbe da Washington il supporto che si aspettava  contro l’aggressione israeliana. Allo stesso tempo, i gruppi filo-israeliani a Washington iniziarono a condurre una campagna contro la Turchia e in particolar modo contro Erdoğan. In questa atmosfera negativa, e in seguito all’Accordo di Teheran, furono imposte dal Consiglio di Sicurezza nuove sanzioni contro l’Iran. Turchia e Brasile, che erano membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza ONU, votarono “no” riguardo le sanzioni. Spiegarono che un loro ipotetico voto favorevole alle sanzioni contro l’Iran avrebbe semplicemente invalidato l’Accordo di Teheran».

Il vertice NATO di Lisbona del 19-20 novembre 2010 pose fine a tutti questi dibattiti e paure. In questo incontro, la Turchia versione “vecchia partnership” dimostrò la sua lealtà alle potenze egemoni del mondo. Dopo tale data, parallelamente all’elargizione di favori, in questo summit, da parte della Turchia, i membri della NATO, i Paesi occidentali e gli Stati Uniti poterono tirare un sospiro di sollievo e tranquillizzarsi sul ripiegamento turco. Ma tutti i Paesi sapevano, del resto, che malgrado questa Turchia sia fedele alla NATO e al blocco occidentale, vi sono alcuni cambiamenti strutturali nella sua posizione e nelle sue politiche.

Come sostiene Nuh Yılmaz, il significato della “partnership modello” desiderata da Ankara è molto evidente. La Turchia dice di sedersi al tavolo, di essere indipendente, e che vuole essere riconosciuta come attore indipendente. Il reale fondamento della partnership modello deve essere basato su di una ossatura che riconosca la posizione indipendente della Turchia.

Che cos’è cambiato?

«Un ex ambasciatore degli Stati Uniti in Turchia mi ha descritto il recente stato delle relazioni tra il presidente Barack Obama e il primo ministro turco Recep Tayyip Erdoğan come “il migliore dall’epoca di quello tra George Bush (padre) e Turgut Özal a fine anni ’80 e inizio anni ‘90”», dice Murat Yetkin, di Hurriyet Daily News. «Vale la pena chiedersi cos’è cambiato? C’è una nuova Turchia o ci sono nuove aspettative da parte degli Stati Uniti sulla Turchia? Dopo aver avuto moltissime conversazioni con fonti statunitensi e turche, posso dire che entrambe le interpretazioni sono valide».

Prima di esaminare questo processo, vogliamo concentrarci sui differenti scenari riguardo la struttura di questa relazione.

Secondo Gökhan Bacik, viviamo nell’era delle contraddizioni nella politica internazionale. «In questo momento è molto difficile capire chi sta con chi in politica estera. L’alleanza strategica turco-statunitense è un brillante esempio dell’era delle contraddizioni nella politica internazionale. Ci sono davvero pochi elementi essenziali di questa alleanza strategica, se ce ne sono, che entrambe le parti, con cautela, riconoscono. Invece, malgrado la costante insistenza sull’alleanza strategica, entrambi i Paesi hanno agende differenti su molte importanti questioni globali», dice. «La Turchia, ad esempio, è convinta che Nouri al-Maliki, il primo ministro iracheno, rappresenti un rischio enorme per i propri interessi nella regione. Tuttavia, gli Stati Uniti adottano una prospettiva differente. Molti attori chiave, a Washington, non sembrano convinti dall’argomentazione turca. Inoltre, vi sono parecchie persone molto influenti, a Washington, le quali credono che forti legami con al-Maliki aiuteranno gli Stati Uniti nella regione, specialmente nel faccia a faccia con l’Iran. Riguardo alla Siria, anche se Turchia e Stati Uniti agiscono in accordo, i rispettivi livelli di coinvolgimento politico sono del tutto differenti. A differenza della Turchia, in qualche modo gli Stati Uniti hanno adottato sulla Siria un atteggiamento di basso profilo. In Egitto, è principalmente grazie agli USA che il Consiglio Supremo delle Forze Armate egiziane (SCAF) è ancora presente sulla scena politica con autorità assoluta, al punto che ha potuto pilotare la rivoluzione. Non è un segreto il fatto che una politica egiziana dominata dal Consiglio Supremo costituirà una situazione difficile per la Turchia. La situazione più paradossale nasce riguardo alla Cina. Sebbene Turchia e Stati Uniti siano in conflitto con i cinesi su tutte le più importanti questioni globali, la loro priorità è quella di promuovere buone relazioni con la Cina. Paradossalmente, si potrebbe sostenere che avere buone relazioni con la Cina sia uno dei nuovi elementi essenziali delle relazioni turco-statunitensi».

Dopo aver presentato le proprie argomentazioni, Bacik conclude il suo articolo in questo modo:

«Quindi, quali sono gli elementi essenziali dell’alleanza strategica turco-statunitense? Ragionando secondo i parametri della Guerra Fredda, credo non ve ne sia nessuno. Forse ci sono diversi elementi essenziali “dormienti” che potrebbero diventare importanti in una crisi quale una guerra. Oppure si potrebbe concepire questo rapporto proiettandolo su un quadro più ampio, come dire che “l’interesse fondamentale degli Stati Uniti è il mantenimento della Turchia come democrazia liberale basata sul mercato”. Ma non sono sicuro che tali elementi siano operativamente attivi».

Dall’altro lato, secondo il Professore Associato Tarik Oğuzlu, esiste sotto l’amministrazione Obama una visione molto differente, nelle relazioni turco-statunitensi, a favore del bilateralismo. «Quello che sembra essere cambiato nell’approccio USA verso la Turchia sotto Obama è che adesso gli statunitensi sono più tolleranti riguardo al fatto che Ankara giochi un ruolo più attivo nel Vicino Oriente. Al contrario che negli anni dell’era Bush, il crescente impegno della Turchia nella regione, particolarmente nel contesto della “Primavera Araba”, non fa più sollevare sopracciglia a Washington. Il sospetto che la cosiddetta politica “zero problemi con i vicini” fosse mirata all’allontanamento della Turchia dall’Occidente in favore dell’Oriente è già svanito».

A suo parere, le principali ragioni del crescente bilateralismo nelle relazioni tra Turchia e Stati Uniti sono tre:

«Primo, gli Stati Uniti danno adesso grandissimo valore alla cooperazione bilaterale di sicurezza con Paesi chiave come la Turchia, parte delle cosiddette strategie “pivot to Asia” e “offshore balancing”. In un periodo di capacità economiche in diminuzione e relativo declino globale, gli USA non possono più permettersi una strategia di preponderanza globale. Decidere le priorità dei coinvolgimenti strategici è adesso l’unica possibilità a Washington.

Secondo, la NATO, la più importante piattaforma multilaterale che vincola la Turchia e gli Stati Uniti agli altri Paesi nel contesto della sicurezza “europea”, ha già perso gran parte del suo significato agli occhi dei turchi e degli statunitensi; questo perché gli Stati Uniti hanno iniziato a definire i propri interessi riguardo alla sicurezza al di là dell’Europa, perché la sicurezza della Turchia è divenuta sempre maggiormente esposta agli sviluppi nel Grande Vicino Oriente più che in Europa e perché l’Europa non è più ritenuta un’area vitale nei disegni di sicurezza globale, e gli alleati europei si oppongono ai tentativi di globalizzare la NATO, preferendo vivere nella “fortezza Europa”.

Terzo, l’impegno della Turchia nel diventare un autentico membro della comunità internazionale occidentale non è più forte come lo era in passato. Ad oggi, non c’è un’unica comunità occidentale che unisca Stati Uniti ed Europa attorno a valori comuni e ad interessi strategici. L’Unione Europea ha subito per diverso tempo crisi finanziarie e istituzionali che ne hanno diminuito la capacità di diventare un vero attore globale, che si esprima con un’unica voce in quanti più ambiti possibili. Che la Turchia diventi membro dell’Unione Europea è ancora una incerta possibilità che potrebbe diventare realtà in un lontano futuro. E l’Unione Europea ha perso il soft power che la rendeva attraente agli occhi dei turchi, dal momento che l’opposizione all’ingresso del Paese nell’UE è andata aumentando, e le crescenti capacità della Turchia di esprimere soft e hard power incoraggiano i leader turchi nei loro sforzi di perseguire delle politiche più multi-dimensionali, multi-direzionali e maggiormente incentrate su Ankara».

«La Turchia sta mostrando vaghi segni di allontanamento da una parte dell’Occidente – l’Europa – ma, allo stesso tempo, un crescente avvicinamento agli Stati Uniti. Nel momento in cui Cipro assume la presidenza dell’Unione Europea, nel 2012, la direzione nella quale si muove la Turchia deve essere messa a fuoco» dice İhsan Dağı, del quotidiano Zaman. «A mio parere, la denuncia di uno “slittamento assiale” è infondata; il concetto di politica estera “sfaccettata” è più appropriato. La ridefinizione dei rapporti della Turchia con Israele non segna una “rottura con l’Occidente”. Effettivamente, a partire dalla “Primavera Araba”, lo scorso anno, è stato scritto adesso che la Turchia sotto il governo dell’AKP potrebbe rappresentare un modello per i governi emergenti nel Vicino Oriente. L’opposizione turca a Gheddafi e Assad ha fatto in modo che i Paesi occidentali, specialmente gli Stati Uniti, dimenticassero tutte quelle discussioni sullo “slittamento assiale”. Oltretutto, l’appoggio allo scudo antimissile NATO sembra aver posto fine a tutte le altre divergenze. Ultimamente, i giornali hanno scritto di quanto Obama ed Erdoğan siano buoni amici e di come le relazioni turco-statunitensi stiano entrando in una nuova “età dell’oro”. Gli Stati Uniti che ieri accusavano la Turchia di voler provare a cambiare le politiche regionali stanno adesso decantando i suoi meriti, sui quali non ho nulla da obiettare».

Quando Murat Yetkin menziona i cambiamenti da parte statunitense e da quella turca, lo fa con queste parole:

«Uno dei cambiamenti dal lato USA può essere riassunto nelle parole di una fonte statunitense di alto livello, che, la scorsa settimana, ha affermato davanti a un gruppo di opinionisti turchi che le relazioni con Israele non erano l’unico parametro per giudicare i loro rapporti, portando gli Stati Uniti a cercare di capire la “Nuova Turchia”.

I cambiamenti dal lato turco sono stati ricapitolati in tre punti:

1) Il mutamento dell’atteggiamento turco sulla Libia; 2)il consenso, da parte della Turchia, ad ospitare sul proprio suolo i radar antimissile; 3)il discorso di Erdoğan al Cairo».

Dall’altra parte, secondo Kılıç Buğra Kanat, lo stato delle relazioni turco-statunitensi, negli ultimi otto anni, è divenuto oggetto di controversie, dibattiti e, in qualche caso, di polarizzazione tra esperti di differente formazione politica e ideologica.

«La discussione sul “chi ha perso la Turchia?” dei primi del 2000 si è evoluta nel dibattito sullo “slittamento assiale” negli ultimi anni del decennio, e per un numero considerevole di questi esperti tale periodo ha segnato la fine di un’alleanza lunga mezzo secolo. Sebbene nei primi mesi dell’amministrazione Obama le parti abbiano provato ad appianare le differenze reciproche, e abbiano proposto il concetto di “partnership modello” allo scopo di dare vita ad una nuova forma di cooperazione, questi tentativi fallirono nel realizzarsi» dice. «Per tutto il 2011, e in special modo durante importanti periodi della “Primavera Araba”, i due Paesi hanno seguito politiche parallele nella gestione degli eventi in Egitto e in Libia, e hanno mostrato reazioni similmente forti contro il governo siriano. Nello stesso momento, la Turchia ha accettato di ospitare il sistema radar per lo scudo antimissile NATO, e gli Stati Uniti hanno espresso il loro pieno supporto alla Turchia nella sua guerra contro il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), sia verbalmente, condannando il terrorismo del PKK, sia militarmente, vendendo alla Turchia tre elicotteri da attacco Super Cobra e quattro aeromobili Predator a pilotaggio remoto. Il crescente rapporto tra il Primo Ministro Recep Tayyip Erdoğan e il Presidente Barack Obama, e il loro costante contatto nel valutare gli sviluppi regionali, ha aiutato a riportare fiducia reciproca».

Secondo Aaron Stein, la divergenza di opinioni sulle politiche di Stati Uniti e Turchia nel Vicino Oriente deriva da una differenza ideologica su come mettere in pratica la politica estera.

«Gli Stati Uniti hanno a lungo favorito una politica di coercizione, mentre la Turchia è tornata sui propri passi riguardo a questo approccio, e adesso è convinta che il soft power sia il modo più idoneo a raggiungere i propri obiettivi. A dispetto di questo, i due Paesi condividono un assoluto interesse nel mantenere legami amichevoli e nel cooperare nel Vicino Oriente. Al fine di mantenere queste relazioni entrambi i Paesi devono lavorare insieme per enumerare in modo chiaro i reciproci immediati interessi, identificare le aree dove c’è convergenza e rispettare i punti dove c’è disaccordo» sostiene. «Il metodo più pratico per fare progressi è quello di separare la questione israeliana dalle più ampie problematiche Medio Orientali, subito seguito dalla collaborazione nel risolvere la disputa sul programma nucleare iraniano. Così facendo, gli alleati possono ridefinire la loro alleanza per affrontare i cambiamenti che ogni Paese incontra nel XXI secolo. In assenza del pericolo comunista, i due alleati possono tracciare un nuovo cammino che favorisca la diplomazia nella regione e il perseguimento dei reciproci interessi. Tale volontà necessita da entrambe le parti di un dialogo più aperto, che smitizzi l’importanza della religione della Turchia e della politica coercitiva degli Stati Uniti in favore di interessi complementari reciproci. La verità è che i due Paesi condividono più interessi che divergenze sui rischi e sulle opportunità che incontrano».

Tuttavia, nella sua intervista a Cairo Review, il Ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoğlu ha risposto cautamente alla domanda «Il Presidente Gül ha parlato di una “età dell’oro” delle relazioni con Washington. I legami non erano così buoni dopo che l’AKP salì al governo un decennio fa? Cos’è successo?»:

«La Turchia e gli Stati Uniti, al momento, godono di un avanzato livello di cooperazione. Obama ha fatto la sua prima visita estera in Turchia poco dopo essere diventato Presidente. Comunque, noi non seguiamo sempre approcci identici sulle questioni internazionali. La Turchia ha, tradizionalmente, forti legami con il suo vicinato ed oltre, ma qualche volta ci potrebbero essere delle sfumature nell’approccio turco alle problematiche della nostra regione. La posizione geografica della Turchia necessita di una politica estera multidimensionale. Perciò, abbiamo molte questioni che riguardano Turchia e Stati Uniti. La Turchia è pronta a collaborare con ogni Paese che persegua gli obiettivi di pace, stabilità e sviluppo economico. Non è possibile accettare l’affermazione secondo cui “i legami non erano così buoni dopo che questo governo entrò in carica un decennio fa”. Si fanno sempre congetture in seguito a un cambiamento di governo, in ogni Paese. L’importante percorso della Turchia, comprendente più o meno nell’ultimo decennio vaste riforme politiche e democratiche e brillanti risultati economici, si spiega da sé e dissipa tali argomentazioni prive di fondamento».

Fino a questo momento, abbiamo dato uno sguardo alle differenti opinioni circa la mutevole struttura delle relazioni turco-statunitensi. Ma non sappiamo se queste argomentazioni siano corrette o no. Porre l’attenzione sul nuovo rapporto realizzato martedì scorso dal Council on Foreign Relations (CFR) può darci, qui, qualche indicazione.

Un nuovo rapporto

«Agire diversamente vorrebbe dire perdere una storica opportunità di saldare legami di cooperazione con Washington sull’Europa, sul Mediterraneo Orientale, sul Vicino Oriente e sull’Africa per una generazione», secondo il rapporto di novanta pagine “Relazioni Stati Uniti-Turchia: una nuova partnership”.

A detta di Jim Lobe, il rapporto arriva, qui, in un clima di crescente – sebbene graduale – apprezzamento per l’emergere della Turchia, nell’ultimo decennio, come potenza economica globale, come testimoniato dalla sua partecipazione nel G-20, e come superpotenza regionale con influenza significativa non solo sull’evoluzione della “Primavera Araba” dello scorso anno, ma anche sulla crisi in corso tra l’Iran e l’Occidente e sul futuro approvvigionamento di petrolio e gas dal Caspio e dall’Asia Centrale verso l’Europa.

Sebbene il rapporto riconosca che Washington entrerà in disaccordo con Ankara su un certo numero di importanti questioni, tra le quali il ritmo e la rotta delle riforme politiche interne alla Turchia e le relazioni di Ankara con Israele, conclude che «tocca ai decisori politici compiere ogni sforzo per sviluppare legami tra Stati Uniti e Turchia, allo scopo di fare della relazione strategica una realtà».

«Negli ultimi vent’anni, ma specialmente dall’avvento al potere del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) di Erdoğan nel 2002, comunque, la posizione della Turchia è cambiata radicalmente» dice Jim Lobe. «Dal punto di vista economico, il suo tasso di crescita si è mantenuto vicino ai livelli cinesi durante lo scorso decennio; dal punto di vista politico, l’AKP ha pesantemente indebolito il potere delle forze armate, un tempo dominanti, e ha istituito altre riforme democratiche; e, dal punto di vista internazionale, Ankara è emersa come un attore indipendente e sicuro di sé, sebbene la sua lealtà verso la NATO, come dimostrano il permanente impiego di truppe in Afghanistan e il consenso all’installazione di un sistema radar antimissile sul proprio suolo, appaia intatta».

Come Jim Lobe ci ricorda, proprio due settimane fa uno dei più influenti esperti di geostrategia statunitensi, l’ex consigliere per la sicurezza nazionale Zbigniew Brzezinski, ha comparato l’importanza della Turchia a quella dei più potenti alleati NATO di Washington. «Per quanto mi riguarda, vorrei vedere oggi la Turchia come uno dei quattro più importanti membri NATO, senza dubbio proprio lì con Gran Bretagna, Francia e Germania», ha detto in una conferenza alla Brookings Institution. Ha inoltre sostenuto che l’evoluzione politica ed economica della Turchia potrebbe servire come modello non solo per gli stati arabi di recente democrazia, ma anche per Iran e Russia.

«La nuova Turchia non è ben compresa dai funzionari dell’amministrazione statunitense, dai membri del Congresso e dal pubblico» osserva il rapporto, aggiungendo che uno degli scopi del gruppo è esattamente quello di favorire una miglior comprensione dell’importanza della Turchia.

Da un lato il rapporto esprime delle rimostranze su diritti e democrazia, osservando, ad esempio, che il programma di riforme costituzionali dell’AKP è rallentato senza necessità e che il governo, qualche volta, è ricorso ai «medesimi strumenti non democratici» dei suoi predecessori.

Allo stesso tempo, insiste sul fatto che alcune delle paure riguardo alla direzione dell’AKP siano esagerate o infondate. «In particolare, il declino del ruolo delle forze armate nella vita politica turca non significa che la Turchia sia inesorabilmente condotta verso la teocrazia o fuori dalla NATO», continua, aggiungendo che «gli Stati Uniti non devono vedere il complesso delle relazioni turco-statunitensi attraverso il prisma ristretto di particolari questioni, possano essere queste l’Armenia, Israele o i legami con la NATO».

Dall’altro lato, il rapporto dichiara che «Le relazioni Stati Uniti – Turchia sono più ampie rispetto alla tragedia armena, alla difficile situazione dei rapporti tra Turchia e Israele o ai fallaci dibattiti circa il posto della Turchia all’interno dell’Occidente».

Come dice Jim Lobe su più specifica segnalazione, il rapporto suggerisce che le politiche interne, sia in Israele che in Turchia, difficilmente favoriranno qualsiasi riavvicinamento nel prossimo futuro, così Washington dovrebbe incoraggiare i due Paesi a conservare quello che viene chiamato «l’unico lato positivo» nelle relazioni bilaterali, il commercio. Viene chiesto anche, tra le altre cose, che gli Stati Uniti compiano più grandi sforzi per promuovere la normalizzazione dei rapporti tra Turchia e Armenia e per limitare le antiche dispute territoriali con la Grecia e i potenziali conflitti con Israele per i depositi di gas nel Mediterraneo Orientale.

Sebbene i due Paesi dissentano su un certo numero di fronti e la diffidenza popolare verso gli Stati Uniti sia particolarmente alta in Turchia, queste differenze «non dovrebbero precludere lo sviluppo di una partnership, in particolar modo dato che Ankara si è portata su posizioni più vicine a quelle di Washington sulla Siria e sull’Iran», secondo il rapporto, il quale sottolinea anche il ruolo «costruttivo» della Turchia in Iraq malgrado la sua opposizione all’invasione.

Conclusione

E’ un fatto che esista una nuova era nelle relazioni turco-statunitensi. Ma quale sia la motivazione fondamentale di questa relazione mutevole è un quesito più importante. Se consideriamo questo processo come isolato dal contesto del sistema politico internazionale, supporremo che la Turchia è una potenza regionale e un play maker. Ma questo non è vero.

Nell’era postmoderna e neoliberista, indipendenza regionale non significa agire indipendentemente dai sistemi e dalle politiche imperialiste. Così, se non ci poniamo domande sulla lealtà della Turchia alla NATO, al Blocco Occidentale o a qualsiasi altra superpotenza, non comprenderemo la reale struttura del mutato modo d’agire turco.

Come sappiamo, tutte le potenze rivitalizzano i propri avversari a delle condizioni. Così, nonostante sembri che nell’ultimo periodo vi siano enormi differenze tra le politiche di Turchia e Stati Uniti, possiamo però scorgere gli obblighi che i due Stati hanno preso tra loro. Questo significa che, quando la Turchia non esce fuori dalla linea rossa tracciata dagli Stati Uniti, a queste condizioni, come potenza regionale indipendente ma globalmente dipendente, sarà più idonea alle politiche statunitensi nel Vicino Oriente. Come abbiamo visto, nei periodi critici la Turchia è sempre con gli Stati Uniti, come nelle operazioni libiche, nell’installazione dello scudo antimissile o nella crisi siriana.

A causa di questi fatti, in un periodo in cui gli Stati Uniti hanno bisogno della Turchia più che mai, non ci sarà da meravigliarsi nel leggere diversi rapporti e articoli sull’età dell’oro delle relazioni turco-statunitensi.

Se non riusciamo a produrre scenari alternativi ai progetti e alle politiche imperialiste, saremo o prigionieri o detentori di un finto ruolo nei teatri egemonici globali.

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