UNA NUOVA RUBRICA LEGGERE L'ARTE...
...TRA LE LETTURE CHE PREDILIGO VI SONO I SAGGI CHE TRATTANO DI ARTE, STORIA, MUSICA...
Al TESTO di Sebaste (Panchine. Come uscire dal mondo senza uscirne, Laterza, 2008), non posso non tributare un dovuto omaggio ogni qualvolta si parla di panchine: mi ha indicato come gettare uno sguardo non distratto su di esse ed apprezzare le infinite storie che, su di esse, si possono raccontare scandagliando i diversi stati della mente che esse facilitano, quando vi si sosta. L'autore ci rimanda a "Sulla panchina. Percorsi dello sguardo nei giardini e nell'arte", di Michael Jackob docente di Storia e teoria del paesaggio (Scuola di Ingegneria di Ginevra-Lullier, e Politecnico di Losanna), cattedratico di Lettere comparate all’Università di Grenoble, direttore presso l'editore Infolio (Losanna) della collana «Paysages». Ha pubblicato il testo in questione, presso Einaudi, 2014), nella PBE con la traduzione di Graziella Girardello. "La panchina è un luogo di sosta, un'utopia realizzata. È vacanza a portata di mano. Sulle panchine si contempla lo spettacolo del mondo, si guarda senza essere visti e ci si dà il tempo di perdere tempo, come leggere un romanzo".
Così il saggista Sebaste nella collana Contromano di Laterza, Panchine, pubblicato per la prima volta nel 2010 e ora giunto alla sua quinta edizione, ha definito l’oggetto che è anche al centro dell’indagine del libro di Michael Jakob
Il libro-saggio di Jakob esamina i molteplici aspetti di questo oggetto, fra la fruizione pubblica e quella privata, in relazione alla storia dei giardini, del gusto e del paesaggio. Alla funzione primaria, urbana concepita per regolarizzare rapporti di democrazia e condivisione della cosa pubblica come si vennero realizzando nell’Italia dei Comuni lungo il Trecento, si collega Jakob, osservando come tale funzione fosse sempre unita – anche nell’antichità a Pompei o ad Agrigento, ad esempio – ad una precisa volontà di offrire una veduta programmata dello spazio.
Le panchine che sorgevano fuori delle porte o dei palazzi pubblici e signorili, oltre che delle chiese, in tutto il centro Italia alla fine del Medioevo, offrivano una vista privilegiata e focalizzata dello spazio urbano, tale per cui risultavano immediatamente chiari i rapporti politici e di forza.
SIENA
TODI
Evoluzione molto sofisticata di questa lontana matrice è la serie di panchine che troviamo nel giardino di Ermenonville - Francia - , residenza di caccia e di ritiro in campagna con un giardino all’inglese realizzata dal marchese René de Girardin tra il 1762 e il 1775 ( vi era sepolto Rousseau prima della traslazione al Pantheon parigino). Gusto per il pittoresco, di una natura non geometricamente regolata come nei giardini all’italiana, ma predisposta a meravigliare, con la funzione contraddittoria delle panchine come complemento alla vita urbana, esse si ritrovano ad essere quasi nascoste da muschio, da rialzi naturali opportunamente posti per godere la miglior vista all’interno di percorsi panoramici e introspettivi per il passeggiatore che ricerca se stesso ed un contatto vivificante con la natura, secondo la diffusa sensibilità rousseauiana. A completamento di questo progetto avviene un fatto imprevisto e simbolico: Rousseau, ospite della tenuta del marchese de Girardin dal maggio 1778, vi muore il 2 luglio dello stesso anno. Su un’isoletta arricchita da alti pioppi fu allestita la sua tomba, che da quel momento in poi diviene il fulcro della promenade all’interno della tenuta. E quando il pellegrinaggio all’isola diventa eccessivo, la panchina delle madri di famiglia sulla riva opposta ha il ruolo di punto di contemplazione privilegiato: vi si riflette sullo scorrere del tempo, vi si cerca introspezione, contatto con la natura, identificazione con un uomo circondato subito da un’aureola di santità laica, tutti elementi che moltissimi visitatori, anche reali, capi di stato e intellettuali da tutta Europa, cercano nella visita a Ermenonville e nella vista della tomba di Rousseau, celebrata da componimenti e incisioni innumerevoli. La panchina delle madri di famiglia, dunque, è il punto di osservazione ideale di una passeggiata quasi viaggio interiore che si confronta con la morte. Un paradosso?? ... la fama del luogo non viene meno anche quando la tomba di Rousseau è trasferita al Pantheon: si crea culto dell’assenza, dell’immagine che continua a racchiudere il desiderio dei visitatori, e Jakob la definisce pre-televisiva.Vi è però un famoso precedente nel giardino voluto nel Seicento dal principe Vicino Orsini a Bomarzo. Tra mostri di pietra e animali esotici scolpiti sono disposte i lunghe panche, con iscrizioni o terminazioni metamorfiche, dalle quali è possibile avere una vista ‘guidata’ al giardino per coglierne i rimandi letterari e mitologici.
Di stile e funzione diverse le panchine disposte da Carlo Vanvitelli, figlio di Luigi artefice della reggia di Caserta e del giardino monumentale con la grande cascata, nell’altro giardino che si apre dietro la cascata: la vegetazione non è più ordinata come nella parte principale, e una serie di panchine o sagomate su un marmo con i segni dell’estrazione, con nodi e racemi avvinghiati. Da queste panchine non vi è alcuna vista privilegiata, sono basse per creare un punto di fuga prospettico. In questo modo, precisa Jakob, Carlo Vanvitelli, prende le distanze dal padre e porta al culmine la contraddizione della funzione della panchina, quale si era già evidenziata nel giardino di Ermenonville, fra tensione massima alla natura e artificio dissimulato. Se ci si siede per concedersi relax e trovare quiete, come gli aristocratici ritratti sullo sfondo della loro campagna inglese, si comunica un messaggio chiaro sul proprio ruolo sociale e sul posto che la proprietà della campagna occupa nella costruzione di questa identità. Ma la panchina diventa anche luogo di rappresentazione ufficiale di individui: dal musico Mezzettino di Watteau
ai Coniugi Andrews di Gainsborough,
al ritratto seduto di Puskin
alle fotografie di Tolstoj a Jasnaja Poljana,
e a quelle di Lenin a Gorki Park,
la varietà dei soggetti e i loro messaggi "orchestrati" anche grazie alla panchina su cui siedono, è molto vasta.
A un significato tutto diverso rimanda invece la scena finale de L’Avventura di Antonioni, girata su una panchina. Qui i due amanti inscenano il fallimento di una relazione amorosa, e la panchina è il luogo da cui la fine dell’eros moderno è decretata, luogo di spaesamento.