Scritto (insieme a Valter Lupo) e diretto da Rocco Papaleo, Una piccola impresa meridionale, sua seconda prova registica dopo il felice esordio con Basilicata Coast to Coast (2010), conferma le buoni doti dell’artista lucano, capace ancora una volta di allestire un’opera fresca, genuina e spontanea, sempre fedele ai concetti e agli schemi a lui cari del teatro-canzone, privilegiati rispetto a quelli più propriamente cinematografici.
Questi ultimi, infatti, vengono in certo qual modo sacrificati sull’altare della massima libertà espressiva, uno sprone “anarchico” capace di dare vita ad un riuscito melange fra sapida levità, poesia, ironia e toni surreali, il quale accompagna costantemente il corso della narrazione, sottolineato inoltre da una coinvolgente colonna sonora (opera di Rita Marcotulli, Arturo Valiante, Pericle Odierna e dello stesso Papaleo).
Rocco Papaleo e Giuliana Lojodice
Costantino (Papaleo), un prete che ha lasciato il sacerdozio dopo una storia d’amore (finita male), fa ritorno al paesello, giù al Sud. Si vedrà presto confinato dalla madre Stella (Giuliana Lojodice), dopo averle reso noto l’abbandono dell’abito talare, in una vecchia proprietà di famiglia, un faro dismesso dove il padre lavorava come guardiano: occorre infatti evitare un ulteriore scandalo in famiglia, dopo che la figlia Rosa Maria (Claudia Potenza) è fuggita con un misterioso amante.Il vecchio stabile diverrà man mano casa d’accoglienza per vari diseredati sociali: Arturo (Riccardo Scamarcio), il marito di Rosa Maria, istruttore di scuola guida con sopite potenzialità artistiche, già “disonorato” dal paese con la nomea di cornuto, la prostituta (in pensione) Magnolia (Barbora Bobulova), sorella della colf Valbona (Sarah Felberbaum), ed infine una scalcagnata impresa di costruzioni, composta da Raffaele (Giovanni Esposito) con sua figlia Mela e Jennifer (Giampiero Schiano), ex acrobata circense aspirante stuntman …
Papaleo e Riccardo Scamarcio
Papaleo accollandosi il ruolo di voce narrante, moderno cantastorie, e vestendo i panni dell’ex prete che continua però ad essere “un tifoso di Gesù Cristo”, e per il quale la religione è più espressione di un forte sentimento interiore che la stanca reiterazione di un ideale, riesce a mettere da parte qualsivoglia intenzione di protagonismo, così da lasciare spazio agli altri personaggi, introdotti gradualmente in scena, ognuno già delineato nelle sue caratteristiche essenziali, fra problemi e crisi esistenziali in corso d’opera. Pur nell’evidente lentezza di fondo, con qualche momento di stasi (come, ad esempio, la scena del funerale, che però “prende aria” ed assume piena consistenza surreale e poetica una volta usciti dalla chiesa), Papaleo riesce ad imbastire con buona efficacia complessiva una commedia certo atipica nel nostro attuale panorama cinematografico, lontana anni luci dai soliti schemi ridanciani, validamente supportata da dialoghi ironici e capace di slanci riflessivi, offerti in chiave di riuscita metafora.Sarah Felberbaum, Barbora Bobulova, Claudia Potenza
Il faro dove trova rifugio una composita umanità, roccaforte di antichi valori, offeso dalle intemperie e prontamente restaurato per una nuova destinazione mantenendone la struttura di base, diviene infatti il simbolo di come posa rendersi necessario smarcarsi da una realtà sociale troppo spesso costruita sulle fondamenta di irreggimentate convenzioni e atavici pregiudizi duri a morire: solo così sarà possibile comprendere come il nostro essere “persona”, tra pregi, difetti e le inevitabili contraddizioni, rappresenti un qualcosa di unico, da esternare e valorizzare al meglio delle proprie inclinazioni e all’insegna di quanto si riesca a dare in un determinato momento della nostra esistenza, tanto verso se stessi, quanto a coloro che ci sono vicino.Giovanni Esposito e Giampiero Schiano
Nel “mondo a parte” visualizzato da Papaleo è allora possibile che un ex prete continui ad essere un sacerdote, perché la pace interiore e la conseguente armonia col creato trovano attuazione anche nell’accettare le diversità come nuovo parametro d’eguaglianza, o che un uomo possa vincere le sue paure esistenziali e riconciliarsi con la figura paterna, pur se dopo la morte di quest’ultima, e prendere coscienza di un estro da compositore musicale sinora soffocato per paura o scarsa considerazione di sé.Una coppia omosessuale riesce a vivere liberamente e serenamente il proprio amore, suggellandolo col matrimonio, “per sempre e finché dura”, perché non vi è alcuna diversità nell’esprimere con gioia condivisa un forte sentimento, i proventi dell’attività di una prostituta, ormai avviata alla “normalità” familiare, possono essere proficuamente investiti, ed infine un’anziana madre, con lo sguardo finalmente limpido e sereno, può farsi carico allegorico di “una piccola impresa meridionale”, superare ogni pregiudizio ed emanciparsi, in nome di una felicità partecipata, verso la più pura e semplice accettazione, ed implicita accoglienza, di un essere umano in quanto tale.
Papaleo
Certo, non siamo di fronte ad un capolavoro conclamato, ma, più concretamente, ad un’opera sincera, distante da ideologie e preconcetti che si avvale delle buone interpretazioni dell’intero cast (Lojodice in testa, splendida nei suoi “vaffa” espressi a denti stretti e nell’evoluzione verso toni più concilianti e comprensivi, confluenti nel bel finale sullo scorrere dei titoli di coda), improntate essenzialmente ad una naturalezza espressiva, per un film capace di trarre linfa vitale dalla forza congiunta delle buone idee e della gentilezza del tocco, non ancora propriamente autoriale, ma piacevolmente sospeso tra sarcasmo e disincanto.