Qualche sera fa c’era vento lungo il fiume. Era lo stesso vento che aveva sgombrato le nuvole del pomeriggio. All’ora di cena ho fatto una lunga passeggiata, sono arrivato nel cuore della movida, ho osservato ragazzini di sedici anni intenti in prove di corteggiamento, li ho guardati nelle loro spavalderie, poi ho camminato ancora un po’ tra il traffico delle macchine e le coppie a passeggio sui ponti di Roma. C’era una festa lungo il fiume, ce ne sono in continuazione. Ma io ero venuto apposta per quella festa. Ho impiegato mezz’ora del mio tempo per decidere se fermarmi per cena o se prendere un panino da qualche parte. Poi si è liberato un posto al grande tavolo all’aperto in cui servivano orecchiette e frittelle al sugo, mi sono seduto sulla panca insieme a degli sconosciuti, mentre il vento scuoteva gli alberi, spostava le posate di plastica, spazzava i tovaglioli di carta oltre i muraglioni del Tevere. C’era un comico della Tv che si aggirava tra i tavoli con l’aria molto rilassata, indossava un gessato blu e una camicia bianca perfettamente stirata. Però dal suo aspetto non scaturiva alcuna comicità, così come dal mio non scaturisce alcuna tragicità devo aver pensato. Al centro della zona riservata ai tavoli c’era una grande statua di bronzo, raffigurava un Cristo che mostra i palmi delle mani. Un passero beccava sulla fronte del Cristo davanti al fiume calmo e liscio. La sua piccola profanazione era la cosa più luminosa della sera.
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Alfonsina Storni, da POESIE D’AMORE
Sette volte facemmo in mezz’ora lo stesso
tragitto. Avanti e indietro di fianco
all’inferriata di un giardino, come
sonnambuli. Respiravamo l’umidità
notturna e odorosa che usciva dalle pietre
e, come pallide morti dell’oltretomba, in
mezzo ai tronchi neri degli alberi,
vedevamo, a tratti, la carne bianca delle
statue.