A proposito di toponomastica e di altre faccende legate all’uso dei simboli penso che ormai tutti l’abbiano capito: la politica non riesce a decidere. Cioè non riesce a fare il proprio mestiere, che sarebbe appunto quello di decidere. Un segno chiarissimo di questa incapacità è dato dalla continua formazione di commissioni che in teoria dovrebbero portare a sciogliere dubbi e incertezze, ma che invece finiscono esse stesse con l’essere sciolte prima che la parola torni alla politica per la decisione finale. Quindi si preferisce formare l’ennesima commissione e tirare a campare qualche altro mese.
Per uscire da questo impasse – ammesso che lo si voglia sul serio – sarebbe già molto se potessimo almeno capire perché, nel caso di una disputa sui simboli, ha ben poco senso cercare di far dialogare spiegazioni basate esclusivamente sul ricorso a verità “incommensurabili”. E che si tratti di verità incommensurabili, cioè autoreferenziali, sorde alle ragioni degli altri, lo si evince esaminando più da vicino lo scoglio che fa naufragare ogni tentativo di conciliazione. Chi, per esempio, dice “io con mio padre andavo sempre a Cologna e per me Glaning resterà sempre Cologna, quel luogo fa parte della storia, della mia cultura” (cito il vicepresidente del Cai, Vito Brigadoi, intervistato dal nostro giornale lo scorso 23 agosto) non potrà mai essere compreso da chi, parlando di storia e di cultura, non si attiene invece a criteri soggettivi, ma vorrebbe che prevalesse sia il richiamo all’oggettività della precedenza (Cologna è solo la traduzione di Glaning, così come Venedig è la traduzione di Venezia), sia l’eliminazione dell’antico sopruso fascista che ancora continua a marcare l’origine di molti nomi italiani.
A questo tipo di difficoltà se ne aggiunge poi un’altra, diciamo di carattere psicologico, che viene perlopiù sottovalutata. E che invece pesa moltissimo. Quando abbiamo a che fare con verità incommensurabili, nessuno tollera che sia l’altro a prendere l’iniziativa o a spingere verso una soluzione. E non lo si tollera perché ciò viene avvertito in primo luogo come un’operazione d’interessata “tutela”, non dissimile da una forma di sgradita imposizione. Ne è una prova la reazione, del tutto eccessiva, del segretario locale del Pd, Antonio Frena, il quale forse un po’ suggestionato dalle ultime notizie di politica internazionale, ha avuto un miraggio e ha paragonato Luis Durnwalder a Muammar Gheddafi.
Alla fine il succo è questo: a decidere, se si tratterà di decidere, dovrà essere la politica. Ma una politica, si spera, capace di non ignorare tutte queste difficoltà qui sommariamente esaminate. Purtroppo finora non se n’è avuta traccia.
Corriere dell’Alto Adige, 27 agosto 2011
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