Siamo tutti circondati da persone buone e sensibili, pronte ad indignarsi per i bambini che muoiono di fame in Africa o per gli innocenti seviziati in qualche angolo del mondo.
Ci parli, con queste persone sensibili, ci discuti, e ti fa bene all’anima pensare che al mondo ci siano ancora esseri pronti a commuoversi di fronte ad una sofferenza.
Poi capita che uno dei tuoi piccoli animaletti – una gatta che vive con te da dieci anni, che è nata dietro il divano di casa tua e che consideri in tutto e per tutto parte della tua vita – si ammali da un giorno all’altro.
Tumore ai reni.
Nel giro di due mesi, giorno per giorno, la vedi letteralmente spegnersi.
Uno scheletrino che non riesce quasi più a reggersi sulle zampe.
A te l’incombenza di decidere il momento esatto nel quale riportarla dal veterinario, con tante raccomandazioni di «non aspettare troppo, perché è inutile farla soffrire».
Con questo bel peso sul cuore, sullo stomaco e sulla testa, ti capita di tornare a fare quattro chiacchiere con quelle stesse persone buone e sensibili di cui parlavo in apertura.
Mica te l’aspetteresti di sentirti dire: «Ma sì, in fondo è solo un gatto… meglio non farla soffrire».
Col cazzo che è solo un gatto.
Col cazzo che è meglio non farla soffrire.
- Queste sono le persone sensibili -
Vaffanculo.
Come si fa a decidere per la vita o per la morte di un altro essere vivente? Uno che ti ha accompagnato tutti i giorni, per dieci anni? Uno che ti ha voluto bene davvero, in maniera incondizionata?
Tornando dal veterinario, ho trovato ad accogliermi il mio roseto con due splendide rose rosse.
Mi sono fermata ad osservarle e ho fatto due considerazioni:
- ho regalato spesso delle rose: mamma, sorella, amiche, uomini (sì, anche uomini); lo considero un delicato gesto d’affetto, un «ti voglio bene» capace di sorprendere, un profumato balsamo per il cuore;
- ho ricevuto rose due sole volte nella mia vita: la prima da un gruppo di amiche che frequentavo quando ero più giovane, era per il mio compleanno; la seconda dal cantante di un gruppo locale, un vecchio amico, che aveva pensato di ringraziarmi per un’intervista che gli avevo fatto portandomi in redazione un enorme mazzo di rose rosse.
Ecco, in questo momento mi sento una povera sciocca.