Martedì scorso, a conclusione dell’articolo Una questione di qualità?, scrivevo:
L’esistenza del postmodernismo editoriale, per utilizzare un concetto espresso alcuni mesi addietro da Sam Missingham, è di necessità, come sostengono gli autori dell’articolo pubblicato su NI, pseudoeditoria? O non è forse un cambiamento epocale che spazzerà in realtà via tanti ruoli che ritenevamo consolidati perché da decenni punti di riferimento del mondo editoriale?
Un documento del 2003, a firma di Virginio B. Sala, otto anni addietro, sembra scritto in un’era geologica precedente: vivere i passaggi tecnologici passo dopo passo è come osservare un figlio che cresce, la percezione è a brevi tratti, per grandi eventi, con un fluido di bassa consapevolezza fra una boa e l’altra; diciamoci la verità, per molti di noi è accaduto lo stesso fenomeno: ci siamo ritrovati dentro il futuro senza accorgercene con cognizione di causa. Un attimo prima contro la vanity press, il POD e la vendita di libri online, contro nel senso che sembravano questioni marginali, di periferia tecnologica da nerd, un attimo dopo non si può evitare di parlarne, perché pressano la via battuta dalle case editrici tradizionali.
Un autore che diventa editore?
Prima profanazione sic et simpliciter, ora accidente da guardare con tensione intellettuale, perché ruba senza mezzi termini professionalità e tempi editoriali che fino a pochi giorni fa erano, o meglio, appartenevano ad altri, non certo all’autore. Un’intera categoria di persone legate all’editoria sta subendo un attacco non coi petardi da ragazzini, bensì con bombe all’uranio impoverito, con particelle presenti da anni sul suolo, la contaminazione è stata ineludibile.
Quando il gruppo Feltrinelli lancia ilmiolibro.it, stringendo alleanze con la Scuola Holden di Torino, non è una contaminazione? Quando nasce BookRepublic con una lista di editori di tutto rispetto non è una contaminazione? Ed Edigita? E Biblet?
Mi sembra ancora di sentirli alcuni quando mi affacciavo con precarissime esperienze di lavoro al mondo editoriale nel 2001: “Ma dove vuoi che vadano questi! Hanno solo internet per la testa”, e risatine presuntuose; “L’e-book in Italia è già morto prima di partire!”, “Vendere libri online? Guarda che qui non siamo in America”, marcando con segno di sdegno la “e” di America. Leggevo, nel 2003, gli articoli di Nazione Indiana, erano ancora argomenti al di là del venire, iniziavo a conoscere online persone come Carla Benedetti, Raul Montanari, Helena Janeczek, Andrea Inglese e altri, e a proposito di C. Benedetti ripenso a un post che mi colpì molto al tempo, qualcosa stava cambiando, qualcosa era già in moto, se ne avvertivano i primi segni inequivocabili. All’epoca (otto anni fa, ripetiamo insieme a voce alta: otto anni fa), come aveva descritto magistralmente Tiziano Scarpa sempre su NI, la maggior parte dei giornalisti si era schierata contro i blog, colpevoli di ospitare la libertà del singolo blogger, senza filtri di qualità propri di un caporedattore. Non solo giornalisti contro blogger, infatti Scarpa scriveva:
(Di più. Io esulto, perché quest’ultima irruzione dell’io in massa, è di fatto, critica letteraria scritta direttamente dai lettori. Appassionati, ingenui, colti, invidiosi. C’è di tutto. Ma l’importante è che tutto ciò ha esautorato quei tre o quattro professorini grigissimi che davano i voti ai libri sulle pagine letterarie dei giornali e che credevano davvero che le sorti delle opere d’arte linguistiche dipendessero dalle loro rancide recensioni. Contavano poco prima, non contano più nulla ora. Evviva).
Ma sarei ipocrita se io, autore di libri, non dicessi che sono preoccupato.
Perché è inutile nasconderlo. Tutto ciò erode il mio status, il senso del mio mestiere, il mio ruolo sociale.
E poi vennero i social network – per esempio Facebook o Twitter –, aNobii, gli iPad e gli smartphone. Otto anni fa, ripeto, v’era un altro mondo, non negli anni Settanta. In otto anni è cambiata non solo l’editoria e sta vivendo ancora un continuo mutamento. Da un lato, il progresso stermina di continuo se stesso a ogni nuova invenzione, con un’accelerazione che qualcuno ha definito singolarità tecnologica, dall’altro lato, il condividere l’IO si contraddistingue sempre più per getto infaticabile di pensieri ed emozioni.
L’autore che diventa editore fa parte dell’assioma noi che diventa io, non apodittico, come parte invece di un progresso (o regresso?) sociale inarrestabile per tanti Stati, il nostro incluso.
Perché vi sto parlando di questo? Perché negli Stati Uniti era accaduto prima, qualche anno prima. Se nel 2003 si potevano leggere online i primi articoli che trattavano il rapporto fra giornalisti e blogger, fra scrittori e blogger, in terra yankee ne sentivo parlare nel 1998, quando ero là, fra loro. Ricordo che in una libreria di Denver, dove ero solito recarmi a leggere la sera, dopo avere preparato pizze e sandwich tutto il santo giorno, parlando con alcuni colleghi, perlopiù messicani, di come Venezia fosse nel loro immaginario l’arte e Roma il centro spirituale, quando ero alla Tattered Cover Book Store entravo in un mondo incredibile, non solo fatto di incontri bizzarri e interessanti e migliaia di libri da sfogliare a costo zero, non solo Venezia e Roma mi sembravano dannatamente lontane, ma anche di riviste underground che non di rado rimandavano a un sito che poi in un secondo momento sbirciavo, affamato come soltanto forse quando si è così giovani si può essere affamati di novità. Allora la flat della connessione mi imponeva una pubblicità che usciva ogni minuto in maniera invasiva, eppure iniziavo a conoscere i futuri protagonisti della trasformazione americana nel campo dell’editoria, ci sarebbe una lista di nomi.
C’è sempre uno scarto di qualche anno fra gli Stati Uniti e l’Italia nelle discussioni letterarie ed editoriali online; non che certi argomenti non siano trattati contemporaneamente, tuttavia il vero nodo è la quantità di persone che ne parla, il punto di massa critica che porta poi anche il cartaceo a replicare, in particolare nei quotidiani.
Oggi sempre più giornalisti possiedono un blog, lo stesso per gli scrittori, in forma solinga o in piattaforme condivise, ma ricordate che cosa stava accadendo in Italia sette otto anni fa? Sembra o non sembra un’era geologica lontana?Ecco perché per capire il nuovo cambiamento non è possibile chiuderci nel nostro eremo provinciale, non solo dal punto di vista economico come sta accadendo di recente, deve essere chiaro che una nuova bomba all’uranio impoverito sta colpendo il mondo editoriale, e ha un nome: Amazon.
Si parli di vanity press e di POD, si discuta dei ruoli in pericolo, ma credo che sia importante porre l’attenzione su Amazon, in grado di trascinare il mercato come sta già accadendo negli Stati Uniti, con conseguenze devastanti per le tradizionali visioni; i dinosauri sono destinati a morire se non capiranno quanto sta capitando a tutti noi.
Martedì ne parlerò con più precisione.
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