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Una richiesta di aiuto, non di leggi, per le donne in Italia

Da Femminileplurale

Questo articolo,  comparso il 19 Agosto sul New York Times, fornisce un’analisi critica sui provvedimenti legislativi proposti nel nostro paese per contrastare la violenza sulle donne. Ve lo proponiamo in traduzione italiana.

di Elisabetta Povoledo

Andrea Mary Marshall, GIA CONDO UNTITLED NO. 12

Andrea Mary Marshall, GIA CONDO UNTITLED NO. 12

ROMA – In risposta al persistente problema della violenza contro le donne, il Primo Ministro Enrico Letta questo mese ha annunciato misure «molto rigide, molto dure» per contrastare la violenza domestica e il “femminicidio”, ovvero l’uccisione delle donne in quanto donne, che avviene spesso per mano dei mariti e dei fidanzati, attuali o ex.

Il decreto formato da 12 punti, con efficacia immediata, fissa punizioni più severe per i colpevoli di abuso domestico, violenza sessuale e stalking e amplia le misure di protezione per le donne più vulnerabili, tra cui le donne immigrate non in possesso di permesso di soggiorno.

«Riteniamo che nel nostro paese sia necessario mandare un segnale forte» al fine di combattere la violenza domestica, ha detto Letta quando, l’8 Agosto ha annunciato il provvedimento. Dopo una grande quantità di attacchi contro le donne ampiamente documentati, il decreto è «un segnale di cambiamento radicale rispetto al problema» ha detto il primo ministro.

Ma subito dopo l’annuncio di Letta, nuovi attacchi hanno dato vigore alle critiche dei difensori delle vittime, i quali sostengono che, da sole, punizioni più rigide  non sono sufficienti a proteggere le donne ed arginare la violenza domestica.

La scorsa settimana, nel nord Italia, una donna è stata pugnalata a morte dall’ex partner, il quale ha poi nascosto il suo corpo in un auto; una donna siciliana è stata assassinata davanti ai propri figli dal suo ex marito, il quale poi si è ucciso, e un uomo le cui motivazioni sono ancora sconosciute ha aggredito  con l’acido una donna a Genova.

Secondo la stima non ufficiale dei media italiani, più di 80 donne sono state uccise dall’inizio di quest’anno, la maggior parte delle quali da mariti, fidanzati o ex partner. Gran parte delle vittime aveva precedentemente contattato le forze dell’ordine per denunciare stalking o aggressioni. Circa il 75 per cento delle 2200 donne uccise tra il 2000 e il 2012 – approssimativamente una donna uccisa ogni due giorni – sono state uccise dai compagni o dagli ex, secondo quanto sostiene uno studio promosso da Eures, un’organizzazione delle Unione Europea che monitora le relazioni sociali e i problemi di occupazione in collaborazione con l’agenzia di informazione Ansa.

Lo scorso anno, il report delle Nazioni Unite ha dichiarato gli abusi domestici “la più pervasiva forma di violenza” nel paese, che colpisce quasi il 32 per cento delle donne tra i 16 e i 70 anni, secondo uno studio del 2006. Deve essere notato inoltre che più del 90 per cento delle donne italiane vittime di stupro o di abuso non denunciano il fatto alla polizia.

 Gli avvocati e i consulenti che lavorano al fianco delle donne maltrattate danno il benvenuto all’attenzione del governo che si sta focalizzando su un problema sociale trascurato così a lungo, ma obiettano che per la maggior parte del decreto il punto fondamentale non viene affrontato.

I critici fanno notare che l’Italia non ha bisogno di leggi più dure, dato che la legislazione vigente è adeguata, benché applicata arbitrariamente. Ciò che manca è l’organizzazione e il finanziamento di un network di assistenza psicologica, legale ed economica dedicato alle donne che decidono di troncare una relazione d’abuso.

«Apportare cambiamenti al sistema penale senza affrontare il tema di come proteggere le donne significa essere ciechi rispetto alla realtà», afferma Barbara Spinelli, avvocata femminista, autrice del rapporto sulla violenza domestica in Italia per la Convenzione ONU per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne.

L’ONU e altre agenzie europee sottolineano in altri rapporti «il fallimento delle istituzioni e delle autorità italiane nell’assicurare adeguata protezione alle donne vittime dei propri partner o ex partner», aggiunge Barbara Spinelli. «O si fanno le necessarie riforme strutturali, o questo decreto non sarà d’aiuto per le donne».

Uno di questi problemi strutturali è la scarsità di alloggi per le vittime di abuso. La principale casa-rifugio di Roma per donne maltrattate consiste di un appartamento di tre stanze, vicino agli studi una volta famosi di Cinecittà. Il centro serve sia Roma sia l’intera regione Lazio, ma non può accogliere più di tre donne per volta. E non può farle restare più di una settimana.

Emanuela Donato è una delle operatrici del Servizio Antiviolenza SOS Donna H24, uno sportello aperto 24 ore al giorno per le donne vittime di violenza. Data l’entità della richiesta, dice, le donne maltrattate italiane hanno «drammaticamente pochi posti» in cui rifugiarsi. Finora quest’anno, più di 220 donne hanno chiamato lo sportello SOS Donna in cerca d’aiuto. «Moltiplicate questo numero per l’Italia, e avrete un’idea dell’emergenza di cui stiamo parlando», dice. «E questo numero è solo di quelle donne che hanno il coraggio di riconoscere che sono vittime, e di chiedere aiuto».

Secondo le raccomandazioni di una task force del Consiglio d’Europa, ogni Paese dovrebbe avere un alloggio adatto per una donna e i suoi bambini ogni 10.000 abitanti. Se l’Italia fosse in linea con questa misura, dovrebbe avere 5.700 posti disponibili sul suo territorio: invece ne ha soli 500.

Gli operatori dicono che l’Italia fallisce anche quando si tratta di dare alle donne assistenza legale, medica, psicologica ed economica. «Il messaggio è stai a casa: se te ne vai per te non c’è nessun aiuto, o molto poco», dice Emanuela Donato.

 Di fatto, nella disastrosa situazione economica attuale, «molte case-rifugio e centri anti-violenza stanno chiudendo a causa della mancanza di fondi» sostiene Oria Gargano, presidente di Be Free, l’associazione che gestisce il servizio anti-violenza SOS di Roma Capitale. «Il decreto del governo non affronta questa questione».

Infatti, la prolungata recessione dell’Italia, ha probabilmente «aggravato il problema» della violenza domestica, come sostiene Patrizia Romito, professoressa di psicologia all’Università di Trieste, rendendo più difficile per le donne trovare i soldi per andarsene da una situazione di abuso. Ma non solo. Per gli uomini potenzialmente violenti, prosegue Romito, la perdita del lavoro può far venir meno quei «riferimenti sociali che pongono un freno ai comportamenti violenti».

Gli avvocati che seguono le vittime della violenza, sostengono inoltre che i fattori culturali contribuiscono alla violenza contro le donne. I cosiddetti “delitti d’onore” delle donne che si diceva avessero disonorato la loro famiglia erano legali fino al 1981, dice Luisa Pronzato, che gestisce un blog sulle donne per il Corriere della Sera. Il paternalismo «è parte della nostra cultura» e, aggiunge, «continua a permeare la società italiana».

Altri sostengono che persino gli agenti di polizia e gli operatori sanitari chiamati a far fronte alla violenza domestica non sono immuni da questi atteggiamenti. «Abbiamo avuto recentemente il caso di una donna minacciata dal marito con un coltello che, dopo aver chiamato la polizia, si è sentita dire dal poliziotto, “perché non gli prepari un bel piatto di pasta e fate pace?”», ci ha riferito Nadia Somma, presidente di Demetra, un’associazione che gestisce una casa-rifugio a Ravenna, nel nord Italia.

Il nuovo decreto, secondo Nadia Somma, ignora la realtà che le vittime e gli abusanti spesso continuano a vivere insieme persino dopo che vengono fatte le denunce, e questo a causa della risaputa lentezza del sistema giudiziario italiano. Gli avvocati delle vittime sostengono che persino gli abusanti condannati raramente stanno in prigione a lungo.

Il governo ha difeso il decreto, che deve ancora essere approvato da entrambe le camere del Parlamento per diventare legge, e Maria Cecilia Guerra, vice ministro del Lavoro e delle Politiche sociali che guida la task force che ha redatto il decreto, afferma che oltre ad offrire maggiore protezione alle vittime, i provvedimenti sono volti ad «aumentare la consapevolezza intorno alla violenza domestica».

Guerra ammette che mentre la rete che fornisce assistenza alle donne maltrattate necessita di essere migliorata, la crisi economica italiana richiederebbe ai gruppi che offrono servizi alle vittime di sviluppare meglio «le sinergie tra le strutture esistenti».

Ma, sostiene Emanuela Donato che lavora nella casa-rifugio di Roma, è difficile far funzionare il centro con i pochi soldi ricevuti. La mancanza di risorse è «essa stessa una forma di violenza contro le donne».


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