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Una riflessione di Massimiliano Magnano

Da Narcyso

In seguito alla pubblicazione di un mio post NON PER TUTTI , Massimiliano Magnano riflette e approfondisce 

La poesia che sempre consiste in un atto creativo è essenzialmente e intimamente relazione. Non può quindi realizzarsi creazione alcuna in un contesto che non sia intrinsecamente e profondamente relazionale, ovvero in un contesto nel quale il poeta non dia libero corso alla propria capacità di entrare in relazione. Il poeta instaura quindi relazioni con la realtà così come questa si manifesta ai suoi occhi, mescolando e amalgamando le proprie competenze di uomo e di poeta, appunto. Innanzitutto c’è da costruire la relazione con se stessi, con riferimento alla propria unità-alterità. Riflettendo su se stesso il poeta riflette in effetti su ciascuno dei suoi simili, entrando in relazione con essi, per quanto a distanza più o meno ravvicinata. Riflettendo su se stesso il poeta non può che vedere ciò che le proprie relazioni di vita, precedenti, attuali o anche in predicato l’hanno fatto; in quanto essere umano, in quanto costruzione culturale, in quanto sintesi progressiva dell’umanità integrale che gli è propria. Scrive significativamente Fernando Pessoa Di tutto restano tre cose: / la certezza / che stiamo sempre iniziando, / la certezza / che abbiamo bisogno di continuare, / la certezza / che saremo interrotti prima di finire. Pertanto, dobbiamo fare: / dell’interruzione, / un nuovo cammino, / della caduta, / un passo di danza, / della paura, / una scala, / del sogno / un ponte, / del bisogno, / un incontro. (Restano tre cose, in . Insomma il processo di ristrutturazione dell’identità è qualcosa che mai abbandona l’uomo, prescindendo dal fatto che egli ne sia consapevole oppure, no. Averne consapevolezza lo rende poeta, ancorché non sia compito di ciascuno renderne conto attraverso la scrittura. E questa continua ricostruzione della propria identità per l’uomo e dunque per il poeta può avvenire solo in un contesto dinamico nel quale il soggetto della relazione si identifica dinamicamente con se stesso (con quello che le esperienze della sua vita hanno contribuito a realizzare), con i suoi simili, con il mondo, diventando uno con essi, salvo poi tornare, sempre dinamicamente a differenziarsene, per realizzare i presupposti di una relazione altra. Forse più intima, forse più vera e più luminosa, forse anche più autentica. Ed è così che accade che nell’atto creativo il poeta non elabora visioni unitarie, ma frammentarie visioni d’insieme, come risultato del reiterarsi dell’atto creativo stesso. Creare in questo senso vuol dire fare spazio, mettere continuamente in discussione la natura stessa del proprio relazionarsi con la realtà. Annullare se stessi per rigenerarsi, per rischiararsi, per specchiarsi in quel frammento di verità che è l’opera d’arte e che nasce proprio dalla necessità di colmare questo stesso vuoto. Il vuoto che nasce dalla relazione e che crea, appunto, altre relazioni, quale che sia la modalità nella quale concretamente si realizza. Nella letteratura, nella pittura, nella musica, non importa: purché si sia sempre pronti a riconoscere l’alterità e al tempo stesso l’unità di questo processo nel quale le relazioni possono variamente intrecciarsi. La parte per il tutto, quindi, senza pretesa alcuna di possesso di quell’unica Verità che pure esiste, ma è inattingibile all’uomo. Chiunque, cioè, abbia occhi per riconoscere la poesia che c’è in se stesso e nel mondo, compie un percorso personale e allo stesso tempo universale alla ricerca dell’unica Verità. Tutto ciò chiaramente prescinde dal fatto che quel pezzettino di verità cui il poeta perviene, che è, come già accennato, luminosa e frammentaria, venga per così dire “trascritta”, per essere successivamente comunicata. Certo è che l’atto della “trascrizione” è un momento privilegiato e imprescindibile per il poeta, per l’artista in generale. L’atto creativo è senz’altro il momento privilegiato nel quale il poeta perviene a un pieno riconoscimento di questa verità e le dà forma e vita. In questo senso la forma che assume l’atto creativo diviene essenziale. Colori, suoni, parole devono assolutamente essere autentici e devono essere percepiti come tali. Nell’atto creativo la forma è sostanza. La forma è perciò il modo in cui quell’intreccio di relazioni che è l’uomo e che è il mondo vengono riconosciuti, da una parte, ed è la modalità espressiva che viene avvertita come più consona per colmare quel vuoto che è insito nella relazione.
Diceva Platone che la massa non sarà mai filosofa, e certamente possiamo aggiungere noi oggi che neppure sarà poeta. In quanto massa, s’intende. E la massa genera facilmente violenza: implacabile e stupida violenza, perché la massa non è altro che fusione indifferenziata, amalgama indistinto che ribolle tutto nello medesimo calderone. Il soggetto solo, nella sua autonomia, può percorrere quel tragitto di umanità che lo porta al riconoscimento — quanto pieno e quanto consapevole non è qui lecito dirlo — delle trame relazionali di cui egli è la sostanza e di cui egli reca al contempo il sigillo dell’essenza.


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