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Oggi 24 aprile ricorre il centenario dell'inizio del genocidio degli armeni. Scrivo volutamente “genocidio” ben consapevole di quale dibattito sia in corso da molto tempo sui quei fatti di cento anni fa e di come ci sia chi, pur non negando la realtà dei massacri e la loro dimensione, resti cauto nell'usare questa parola. E quanto i nervi siano scoperti lo ha dimostrato pochi giorni fa la polemica suscitata dall'omelia di papa Francesco in San Pietro.
E' forse meglio usare la definizione di “pulizia etnica”? Gli armeni furono eliminati non perché armeni ma perché, cristiani alleati della Russia zarista, rappresentavano un avversario per la politica dei “giovani turchi”? Forse è così, ma una differente definizione non cambia la realtà delle cose: centinaia di migliaia di donne, uomini e bambini furono deportati, uccisi o lasciati morire, perché la loro etnia era vista come un ostacolo ad un disegno politico.
A differenza dello sterminio degli ebrei, che era costitutivo dell'ideologia nazista, l'annientamento degli armeni fu deciso e organizzato perché in quel momento era utile alla politica turca. Ciò che è accaduto agli armeni è analogo a quanto subito dai bosgnacchi in Bosnia. E il massacro di Srebrenica è stato qualificato dalla giustizia internazionale come “genocidio”. Perché allora tutte queste resistenze ad accettare questa definizione per il massacro degli armeni?
Se la Turchia di oggi non può essere messa sul banco degli accusati per quei fatti di cento anni fa, non può però nemmeno continuare a rifiutarsi di discutere. Si chiede alla Turchia ufficiale di accettare di confrontarsi con il proprio passato, così come è stato chiesto alla Germania o come viene chiesto alla Serbia. Così, sia detto per inciso, come dovrebbe una buona volta fare l'Italia sulla Libia o sui Balcani, anziché nascondersi dietro il mito degli “italiani brava gente” o dietro la retorica a buon mercato sulle foibe.
In Turchia, e in Armenia, molti e non solo tra gli storici, riflettono e discutono senza pregiudizi. Aiuterebbe, probabilmente, sei governi e i parlamenti che ogni anno chiedono “mea culpa” o votano risoluzioni sul genocidio armeno, non fingessero di non vedere la tante questioni aperte, attorno alle quali ruotano interessi non sempre confessabili, a partire dalla vicenda del Nagorno-Karabakh.
Oggi, però, lasciamo perdere le polemiche storiche e le analisi geopolitiche, e per un momento pensiamo alle donne, agli uomini, ai bambini che cento anni fa furono stritolati dalla macchina implacabile della guerra e dei nazionalismi solo perché appartenevano all'etnia sbagliata nel momento sbagliato. Mi pare che Hitler disse una volta che nessuno avrebbe più ricordato lo sterminio degli ebrei così come nessuno ricordava quello degli armeni. Per fortuna non è stato così.
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