Per due serate la Sala Hárpago, sotto l’organizzazione de “ilgattoblu”, ha ospitato lo spettacolo Pallonate, scritto da Ficarra e Picone e portato sulla scena da Salvo Piparo. Il duo comico, qui soltanto in veste di autore, non propone, come ci si potrebbe aspettare, un pezzo in chiave completamente comica, ma una commedia sperimentale dal sapore agrodolce contenente episodi di satira e denuncia accompagnati da una colonna sonora scritta ed interpretata dalla cantante Costanza Licata e dalla pianista Rosemary Enea. Per la gioia dei fan della coppia, Valentino Picone è presente in sala e, salendo sul palco nel momento introduttivo, tra un siparietto divertente e l’altro col capocomico e organizzatore Gino Astorina, ci tiene a spendere qualche parola per presentare la pièce, quasi come a voler fare da garante alla sua buona riuscita e allo stesso tempo come a voler simbolicamente passare il testimone dall’autore all’interprete. Pallonate consiste di monologhi, prevalentemente in dialetto palermitano (fortunatamente abbastanza comprensibile anche dal pubblico catanese), che raccontano delle storie amare e divertenti allo stesso tempo, alcune assurde e altre verosimili; ad accompagnare il tutto in sottofondo c’è la tastiera della Enea, mentre ad intervallare i singoli episodi troviamo, con funzione di commento, le canzoni della Licata, che occasionalmente brandisce anche qualche strumento a percussione o suona il violino. Tra i momenti più surreali dello spettacolo quello dove si racconta dello sciopero dei folli, con il pubblico chiamato a riflettere su chi sia davvero il pazzo e chi il sano di mente, o ancora quello che vede protagonista l’isola della Sicilia che decide di andarsene via, ulteriore allegoria che stimola lo spettatore a riflettere sul significato recondito di questo gesto. Tra le storie verosimili colpiscono la gara condominiale di lancio del sacchetto della spazzatura, dove si sottolineano gli italici vizi che vengono fuori anche in momenti di gloria effimera, e le letterine del bambino di dieci anni a Babbo Natale, che sono un pretesto per raccontare degli aneddoti molto divertenti sulla sua strampalata famiglia. Non manca qualche riferimento all’attualità con la fenomenologia del politico siciliano, che non viene di certo presentato sotto una buona luce, e con la drammatica storia del ragazzo turco che lava i vetri ai semafori, specchio di una società che emargina il diverso. Il tutto si conclude con una significativa lezione di vita (una “morale”) che Piparo ha ricevuto dallo zio: le parole sono importanti e se si deve dire una fesseria, tanto vale stare sempre zitti.
La recitazione del protagonista è molto intensa e la colonna sonora al piano è sempre adeguata all’occasione, accentuando la drammaticità o la comicità della situazione; le canzoni che fanno da intermezzo inoltre sono molto gradevoli e ben eseguite dalla coppia di musiciste e sono spesso e volentieri un complemento in chiave satirica alla storia appena conclusa o che sta per iniziare. Il fil rouge dell’operazione è la sicilianità, l’orgoglio di essere siciliani pur riconoscendo tutti i pregi, i difetti e le contraddizioni che ciò comporta, e se da un lato si ride o si sorride davanti a certe situazioni grottesche, dall’altro lo spazio dedicato alla riflessione dello spettatore è certamente preponderante. Alla fine dello spettacolo, sia Picone che Piparo, entusiasti per la calorosa reazione del pubblico catanese, si trattengono per rispondere a qualche domanda; Picone però in questo caso, sia perché vuole che la scena sia tutta del suo protetto sia perché probabilmente si sente a disagio senza il suo partner storico, è poco loquace e si limita a elogiare a profusione la performance di Piparo, preferendo, visibilmente soddisfatto per la buona riuscita del progetto, lasciare la parola a quest’ultimo e alle due ragazze ed interrompendolo solo per qualche battuta ironica sul mio ruolo di giornalista. Chiedo a Salvo Piparo di raccontarmi come si arriva a questa rappresentazione e mi spiega che tutto nasce dagli articoli pubblicati ogni domenica sul quotidiano la Repubblica da Ficarra e Picone, che lui si divertiva a leggere; un giorno incontra Valentino e gli dice che, essendogli piaciuti molto, li vorrebbe raccontare in teatro; inizialmente non riceve nessuna risposta, ma dopo un po’ Valentino e Salvo gli comunicano di aver deciso di provare a metterli in scena.
Ci tiene inoltre a sottolineare che l’approccio iniziale, visto che si partiva da articoli di giornale, è stato fatto col dovuto rispetto che ci vuole quando ci si avvicina a cose “lontane” dal teatro; si è trattato dunque di un continuo “work in progress”, in cui in questi pezzi sono stati innescati man mano degli aspetti drammaturgici tipici del monologo teatrale, sposando anche le musiche scritte ed eseguite dalle due coprotagoniste; il tutto condito ovviamente con la grande voglia di raccontare di Piparo, che conclude la risposta dicendo che a tutt’oggi lo sente ancora come un lavoro aperto che cresce e si evolve. Inoltre, da buon esperto dell’argomento, l’attore-cantastorie mi delucida in breve sulla “tecnica del Cunto” che lui stesso adotta: essa viene originariamente dai greci ed è stata in seguito utilizzata nell’opera dei pupi; consiste nell’improvvisare e dare una cadenza ritmica e incalzante alle parole. Spostando l’attenzione alle due musiciste, che sembrano davvero emozionate, chiedo come siano state scelte, e Piparo rivela di conoscerle da tanto tempo, in quanto hanno fatto l’asilo insieme! Passando la parola direttamente a loro, le ragazze mi spiegano di aver composto i brani leggendo i racconti e immaginandosi prima i testi e successivamente la musica applicati alle situazioni narrate, prendendo ispirazione dunque direttamente da queste. Valentino Picone, a parte un’osservazione sulla tragedia del ragazzo turco, che per volere suo e di Ficarra è stata interpretata con leggerezza e non in modo drammatico come sarebbe stato portato a fare Piparo, ascolta soddisfatto le risposte e annuisce senza interromperli, contento per una volta di non essere lui personalmente al centro dell’attenzione ma fiero di aver fatto da pigmalione a questo trio di giovani di talento.