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Una Risata Amara sull'Employee Branding. Ma in Italia vince Hera.

Da Robven
Riprendo ed attualizzo un mio articolo di qualche tempo fa sull'employee branding, che mi sembra ancora interessante - facendone una versione  più adatta per il blog. Enjoy.
Una Risata Amara sull'Employee Branding. Ma in Italia vince Hera.
I mondi delle tecnologie e della comunicazione viaggiano veloci, velocissimi, e propongono un possibile futuro (a volte, sbagliando clamorosamente).
La società si muove più lentamente, a velocità diverse, dividendosi in innovatori, in immobilisti e tutto quello che c’è nel mezzo.
Le aziende e la loro cultura tendenzialmente viaggiano ancora più lentamente, restando indietro rispetto a tante cose, rischiando di trovarsi in sintonia solo con la fascia più conservatrice del pubblico.
Essere innovatori vuol dire guardare avanti ma anche andare avanti. E andare avanti significa cambiare. E cambiare porta un rischio di forte lacerazione, di destabilizzazione dell’impresa e dei suoi meccanismi aziendali e di carriera; meccanismi che spesso premiano in maniera prioritaria il non sbagliare, quindi la riduzione totale del rischio. Anche a costo del risultato.
La nostra migliore pubblicità sono i dipendenti soddisfatti
La risata amara me la sono fatta ieri, leggendo in rete una cosa che mi ha riportato alla mente l’utopia dell’employee branding
Per chi non fosse addentro al concetto, un breve background: la prima o comunque una importante fonte di comunicazione dell’azienda verso l’esterno è costituita dalle sue persone, i dipendenti. Un contatto umano è più forte di qualsiasi pubblicità; l’impatto che mi può fare un commerciale, un addetto al call center, un tecnico è determinante per formarmi o de-formarmi l’idea, il brand dell’azienda.
Un gruppo di persone entusiaste, che credono nell’azienda, che ne condividono la filosofia, che si trasformano volentieri e spontaneamente in evangelisti può portare un sacco di business, per ridurre al succo il discorso.

Dare l’idea al mercato di un’azienda felice, aiutare ad attirare talenti; creare un’appeal verso la marca di quelli che portano giornalisti e blogger a fare la coda per intervistarti, capire il successo, farti un sacco di pubblicità gratuita.

Un' Utopia?
Di tutti gli strumenti di marketing e comunicazione che conosco, quella dell’employee branding mi sembra la più fantascientifica, specialmente da noi (ma non solo). Io ormai conosco non più di quattro o cinque aziende di cui posso dire che le persone ci vivono contente. In due o tre aziende ho fatto dei progetti che hanno rapidamente esplorato come possibile strategia quella di lavorare sui dipendenti.

In una o due aziende che conosco non hanno bisogno di consulenza, su questo - perché istintivamente o ideologicamente hanno già fatto le cose giuste, e i dipendenti sono fieri della propria appartenenza.


L’altro 99% delle aziende è fatto da persone insoddisfatte o decisamente arrabbiate, che alla prima occasione ti svelano gli altarini, minano la comunicazione raccontandoti come
l’approccio al cliente o la vision/mission siano solo escamotage di marketing all’interno di aziende totalmente ciniche, pronte a essere come tu mi vuoi, a condizione che la gente se la beva e compri. Basta che funzioni.
Il distacco tra realtà e comunicazione si sta dunque approfondendo, violando uno dei principi storici del settore; per funzionare occorre dire cose vere, come dice il motto di un’agenzia per cui ho lavorato: «verità ben dette». 

Il mercato già da tempo percepisce il marketing e la comunicazione come una fabbrica di menzogne. Oggi, con i social media, le reti e tutto il resto, le menzogne hanno le gambe corte.  E non si fermano agli addetti ai lavori. Le persone dunque non sono più una risorsa, non più di quanto lo sia una fotocopiatrice che si può sostituire e che comunque deve lavorare alla pressione di un pulsante? Siamo liquidi, siamo disposable?
In realtà, in Italia c'è qualcuno che lo fa bene...

Cito testualmente: 
"L’Italia ha ancora molta strada da fare nell’employer branding online: lo sostiene la seconda edizione della ricerca Employer Branding Online Awards Italy 100, condotta da Lundquist, che vede ai primi tre posti nel nostro Paese il gruppo Hera,Telecom Italia ed Eni per capacità di comunicare su Internet il proprio valore come datori di lavoro ai dipendenti attuali e soprattutto potenziali." 

Leggete il resto qui: http://www.corrierecomunicazioni.it/media/18016_employer-branding-online-hera-telecom-e-eni-le-top-italiane.htm



Opportunità o minaccia?
L’azienda oggi oltre a tutte le difficoltà che deve già superare si trova spesso dunque ad affrontare il tema dell’employee branding non come una opportunità, ma come una difficoltà,  una PR Crisis, un fattore di pubblicità negativa che l’azienda autogenera su base continuativa.  Per me è un sollievo incontrare qualcuno che mi racconta di cose belle della propria azienda. Di visioni, di una comprensione, di un investire sulle persone piuttosto che sui mobili o le tecnologie. E sono quelle le aziende da cui preferisco rifornirmi.  Sia per la visione etica centrata sull’essere umano, sia per la maggiore intelligenza dimostrata, sia perché – scusate la brutalità – galline felici fanno uova migliori e quindi sarò probabilmente un cliente più soddisfatto (evviva il cinismo). Da dove cominciare In un mondo sempre più social e ciarliero, avere persone che credono nell’azienda significa anche avere un volume di comunicazione spontaneo sui social media che difficilmente potremmo ottenere, anche pagando un sacco di soldi. 
Ma tant’è, la cultura aziendale è quella che è, le pressioni degli azionisti sono quelle che sono, il modo di considerare (nella pratica, non nelle dichiarazioni) le persone lo conosciamo.  Prima dunque di investire in operazioni di engagement sui social media per generare buzz positivo, permettetemi una piccola raccomandazione: cerchiamo di evitare la generazione di un buzz negativo. Per quello non c’è censura che tenga. P.S. –  segnalo due link da cui imparare questa buffa cosa che sarebbe  l’employee branding fatto bene: Employees Branding Guidelines e Happy People makes Happy Businesses.
[Branding & Marketing Blog / Venturini]

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