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Una segreta tragedia

Da Gabrielederitis @gabriele1948

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Lunedì 22 ottobre 2012

CAMMINARSI DENTRO (431): Una segreta tragedia

«Sono sempre i nostri muri quelli contro cui urtiamo e su cui proiettiamo la nostra immagine del mondo, sia che cerchiamo di amplificare il nostro spazio, sia che vi accatastiamo i nostri beni.»

«Solo chi rimane completamente se stesso si presta alla lunga a venire amato, perché solo così, nella sua pienezza vitale, può simbolizzare per l’altro la vita, essere avvertito come una potenza di essa. Non vi è errore più grande nell’amore dell’adattarsi timorosamente l’uno all’altro e di uniformarsi a vicenda…».

«Un eterno rimanere estranei nell’eterna vicinanza è dunque il segno più pertinente e inalienabile di ogni amore in quanto tale: …non solo nel disprezzo o nell’amore non ricambiato, infatti, ma dappertutto, ovunque dove ci si ama, l’uno sfiora solo l’altro lasciandolo poi a se stesso. E’ sempre una stella irraggiungibile che noi amiamo, e ogni amore è sempre nella sua profonda essenza una segreta tragedia, ma proprio per il fatto di esserlo riesce ad avere effetti così potentemente produttivi».

LOU ANDREAS SALOME’, Riflessioni sull’amore (1900)

A proposito delle ragioni di un amore, se ci chiediamo perché proprio quella persona sia diventata ‘oggetto’ del nostro amore, siamo giunti ad una consapevolezza tragica: siamo divisi, in noi, tra le ragioni manifeste e quelle che ci sfuggono, tra chiarezza e oscurità. 
Sulle ragioni manifeste è stato scritto per secoli. Possiamo dire di sapere per quante vie possiamo incamminarci. E’ stata descritta, con Il portiere di notte, perfino la ‘nazificazione’ dell’amore.
Meno noti sono i percorsi, gli infiniti percorsi possibili che abbiamo ricondotto alla nostra capacità di divinare da quel fondo enigmatico e buio di cui ci parla Platone.  Tentare di costruirne una mappa è impresa impossibile, perché dovrebbe coincidere con la nostra capacità di invenzione, con la sfera della nostra libertà.
L’attività di cui parliamo è l’improvvisazione. Quante volte ci è capitato di stupirci di noi stessi, per aver detto (e fatto) cose che sembravano avere un soggetto diverso da noi? Possiamo parlare anche di spontaneità. All’opera è la fantasia, la facoltà inconscia della nostra anima che ‘produce’ ad occhi aperti discorsi e azioni. Diremo, allora, che ci sono i momenti in cui controlliamo le nostre azioni, che sono prodotti per lo più consapevoli del nostro sentire. Ci sono, poi, momenti di ‘abbandono’, di espressione di sé incontrollati: i nostri atti non sono veri atti, perché si tratta di manifestazioni impreviste della sensibilità contraddistinte da gestualità, mimica facciale, vocalità. Oltre il dominio del ‘verbale’ puro.
Siamo portati tutti a credere nell’amore per questa ragione, perché il sentimento si manifesta in forme imprevedibili e questo ci fa pensare che sia autentico il sentire di chi vi si abbandona, non essendovi controllo alcuno sui comportamenti e sugli atteggiamenti personali. Quanto più grande è questo abbandono, tanto più chiaro ci apparirà l’attaccamento che la persona realizza quotidianamente nei confronti delle persone che ama.
Tuttavia, la natura di questo attaccamento sarà influenzata dal modo di sentire e dalla sua 
intensità, dall’educazione sentimentale della persona e dalle convinzioni che accompagnano quel sentire.
La serietà delle intenzioni di una persona, allora, dovrà essere osservata nel tempo e così compresa, fino a nuova smentita da parte della realtà.

Di quest’ultima, forse, bisognerebbe parlare veramente. Il senso comune, e noi con esso, è portato a pensare la realtà come la pura oggettività, lo spazio dei dati di fatto che non sfuggono mai alla comprensione, tanto forte è la luce con cui ci si mostrano. Sembra che stiamo parlando di ciò di cui non sia possibile dubitare mai in alcun modo.
A me piace dire nel Centro di ascolto in cui lavoro che alla verità preferisco la realtà (c’è una madre che mi guarda con sospetto: mi ricorda periodicamente che sa bene che io non credo nella verità!, come se fossi un viandante che ha smarrito la strada): solo la realtà smentisce veramente le mie illusioni e falsifica le mie congetture, le supposizioni, ogni argomentare quotidiano su ciò che vi è, se non ci sia opportuna congruenza tra le parole e le cose. La conquista più grande è proprio nel riconoscere che la nozione di realtà è più ampia di quella di verità. È come se la realtà fosse più vera della stessa verità! C’è più verità nella contraddittorietà del reale che non nella fissità, nella rigidità di un fatto che pure sarà vero, perché è accaduto. Ce ne sono le tracce, le prove, le testimonianze. Tuttavia, la verità di un ‘piccolo’ fatto non può essere assunta nelle relazioni umane al rango di verità ultima. Se così fosse, se invocassimo quella ‘piccola’ verità come guida per l’azione, rischieremmo di farci guidare ora da questo ora da quel fatto, senza venire a capo di alcuna verità vera. Per questo, io preferisco dire che “la verità è il tono di un incontro”. Vladimir Jankélévitch chiama le-presque-rien, il-quasi-niente, quello che stringiamo tra le mani quando ci affanniamo ad inseguire le nostre verità quotidiane.

Inscritta nei registri del Reale, del Simbolico e dell’Immaginario, la nostra esperienza non è la cosa di cui si appropria tanto facilmente il senso comune, per dire che ieri abbiamo fatto questo e quest’altro ancora, come se tutto ciò che è apparso si fosse mostrato nella sua evidenza incontrovertibile.
I tre super-concetti possono essere compresi solo se pensati in connessione l’uno con l’altro. Secondo Recalcati Reale, Simbolico e Immaginario “sono tre vettori, tre linee di forza. Abbiamo il vettore che va dal reale all’immaginario. Il reale coperto dall’immaginario dà il senso di realtà e la realtà è precisamente l’effetto di questo ricoprimento immaginario del reale. La castrazione rende possibile l’accesso alla realtà. La realtà non è il reale per Lacan. La realtà è il reale coperto dall’immaginario e dal simbolico. La freccia che va dall’Immaginario al Simbolico è la freccia del senso. La dimensione della verità implica il rapporto tra immaginario e simbolico. La verità si dà come simbolizzazione dell’immaginario. Ogni volta che accade la simbolizzazione dell’Immaginario c’è effetto di verità…”. Dobbiamo partire da qui per comprendere le vie che prende la nostra coscienza quando si abbandona all’esperienza amorosa. Per fare veramente i conti con la verità credo che costituisca una via obbligata fare i conti con la realtà. 


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