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Una settimana di “Vergognamoci per lui” (51)

Creato il 13 dicembre 2011 da Zamax

Un giorno di gogna non fa male a nessuno. Come dicono i filosofi più in gamba, è tutta esperienza. Su GIORNALETTISMO.COM

 

I FISSATI CON PUTIN 05/12/2011

Tra questi, i più spietati sono quelli che in fondo, qualche decennio fa, non vedevano tutto male nell’esperimento sovietico. Essendo una setta potente, si sono portati dietro anche i liberali senza palle e senza testa e i conservatori più tetragoni. La Russia putiniana è diventata una vergogna antidemocratica ed illiberale. Per i nostri gusti delicati, sicuro, non lo metto in dubbio. Ma non tanto da impedire che si tengano delle regolari elezioni politiche e che in quelle di ieri il partito dell’autocrate Putin, Russia Unita, secondo i primi exit poll, sia passato dal 64% al 48,5%. Queste anime belle saranno finalmente contente, tanto più che oltre a Russia Giusta: Madrepatria-Pensionati-Vita, partito descritto di “centrosinistra” che dal 7,7% passa al 14,1%, a trarre i maggiori vantaggi dal “crollo” putiniano è stata tutta gente di specchiatissima ed illuminata liberalità come i comunisti passati dall’11,57% al 19,8%, e i nazionalisti di Zhirinovski, passati dall’8,1% all’11,4%. Insomma, il colosso si muove, senza neanche il bisogno di una primavera democratica. E anch’io sono contento.

 

IL SOLE24ORE 06/12/2011

Che ogni anno, abbagliandoci, scorta con una montagna di dati la sua bislacca classifica della qualità della vita nelle PROVINCE italiane: NON nelle città, come si continuerà a ripetere dai media per altri vent’anni, sempre che vada bene. Vedo con buonumore che la provincia di Oristano, senza che si abbia notizia di un qualche maremoto abbattutosi sulla costa occidentale sarda, ha fatto in dodici mesi un capitombolo all’indietro di ben 45 posizioni. Orpo. A naso dico: o la qualità della vita in Italia è talmente omogenea che una bocciofila in meno o un asilo in più ci fanno andare all’inferno o in paradiso; oppure i parametri sono da ricalibrare. Propenderei per la seconda ipotesi. Noto ancora e sempre con buonumore che la mia patria, la Marca Trevigiana, con un balzo felino si è insediata al primissimo posto nella classifica speciale riguardante il “tenore di vita”, proprio ora che mi vedo circondato come non mai da facce sospirose e meste, liete di trovare parole di conforto in un povero disgraziato come me. Questo è un bel mistero. Che nel resto d’Italia si sia alla più nera disperazione? O che dalle sue parti il sottoscritto, a sua beata insaputa, abbia ormai acquisito una discreta fama di amabile gonzo?

 

LIBERTA’ E GIUSTIZIA 07/12/2011

Se ogni tanto anche il buon Omero dormicchia, perché mai la Sobrietà dovrebbe negarsi per forza un bicchierino? L’ottimo Napolitano, con logica inoppugnabile, converrete, ha avuto parole d’elogio per un decreto, il «Decreto Salva-Italia», “giunto appena in tempo per evitare la catastrofe”. Concetto ribadito dal sempre misurato Monti, ospite del salotto televisivo di Bruno Vespa. Bruno Vespa!?! Monti, il Salvatore, nella casa di un noto pubblicano! A nulla è servito che l’altro ieri il più esclusivo club di bacchettoni d’Italia lanciasse – lanciasse cosa? un appello? – un appello affinché l’uomo della rupture stilistica e morale non varcasse quella soglia impura. Un appello sottoscritto – sottoscritto da chi? da numerosi personaggi della cultura e dello spettacolo? – da numerosi personaggi della cultura e dello spettacolo. Tra questi, Ermanno Olmi. Quello delle parabole cinematografiche.

 

MARIO MONTI 08/12/2011

Come le dicevo, Watson, questa contegnosa macchietta non ha nemmeno il coraggio delle proprie azioni. A “Porta a Porta” è andato, ma con un miserrimo colpo basso si è creduto in dovere di mettere subito in chiaro, coram populo, com’è proprio dei pusillanimi, che “non lo ha fatto per fare un piacere a Vespa”. Il quale naturalmente non ha fatto una piega. Asciutto e amabile come il più compito dei maggiordomi ha fatto un rapido cenno del suo più naturale assenso, com’è uso degli uomini di mondo davanti ad una cafonaggine puerile. Individuo notevole, Watson! Siccome nessuno va da Vespa per fargli un piacere, ma casomai per fare un piacere a se stesso, la mia distaccata opinione, caro Watson, è che quest’uscita stravagante sia il frutto di due giorni di profondo travaglio intellettuale alla ricerca delle parole più consone a rabbonire l’Italia Migliore, quella fissata, lo sapete, coi servi e coi lacchè. In questa fissazione Monti ha infine trovato con intima gioia la giusta ispirazione che gli ha dettato – letteralmente, caro Watson, letteralmente! – le sciocche parole del suo servile tributo. Increscioso, nevvero? Ma ora mi aiuti a mettere la giacca: abbiamo tutti e due bisogno di un po’ d’aria fresca, non crede?

 

FILIPPO FACCI 09/12/2011

Nel suo articolo sulla prima alla Scala scrive: “È vero, in fondo l’opera è proprio teatro allo stato puro: e il primo a evidenziarlo, anche musicalmente, fu proprio Mozart.” Per me si è espresso in modo infelice, perché sennò non mi limiterei a tirargli gli orecchi. Così non fa altro che perpetuare equivoci che fanno contenti insieme certa critica seriosa e verbosa e il volgo più o meno danaroso che va a vedere il «baraccone» teatrale-musicale, lusingato di partecipare ad un «avvenimento culturale» ufficialmente certificato. Per Mozart era vero il contrario: in un’Opera ben intesa il teatro, il dramma, il libretto, la scenografia, dovevano formare la servitù anche scalcagnata della musica; l’Opera stessa non puro teatro, ma teatro completamente risolto in Musica. Ossia Musica: “In un’Opera la poesia deve essere figlia obbediente della musica. Perché le Opere Comiche italiane, a dispetto della miserabile insignificanza dei loro libretti, hanno successo ovunque, persino a Parigi, come io stesso ho constatato? Perché la musica vi prevale completamente, e la gente dimentica tutto il resto [Olé! N.d.Z]. Così, un’Opera otterrà un successo ancora maggiore se il soggetto è stato bene elaborato, e le parole sono state scritte solo in funzione della musica, senza la presenza di termini o di intere strofe che distruggono completamente l’idea del compositore [del compositore, non del drammaturgo, non del librettista, N.d.Z.] solo per salvare una miserabile rima.” Questa semplice verità continuerà ad essere una pietra d’inciampo nei secoli dei secoli. Le opere, ascoltatele pure a casa, non ci perderete nulla o quasi, e penetrerete nella musica e nella mente del compositore anche meglio. Ciò detto, io non sono affatto un patito di Mozart. Mi piace molto invece Massenet.

P.S. Mi sono spesso chiesto come mai nessuno di questi svergognati risponda: o miei leggiadri aforismi colpiscono con così infallibile precisione che la miglior cosa è ignorarli, oppure non c’è in giro un cane spelacchiato che li prenda sul serio. Io un’intima certezza l’avrei… Ma Filippo Facci mi ha degnato di una risposta. La cosa mi ha talmente colpito che gli ho rivelato tutto!

Filippo Facci: Non ho capito la questione: dal che ritengo che l’essermi espresso male sia un’ipotesi effettiva. Non certa, tuttavia. La mia era una notazione tecnica, riferita al fatto – che poi non ho riportato – che Mozart ha infarcito il Don Giovanni di riferimenti musicali «teatrali», in voga allora, che noi ora non possiamo riconoscere. Per il resto, figurarsi se disconosco l’ammiccamento mozartiano verso la servitù della musica, come la chiami. La musica era poco più che un’occupazione da girovaghi o da servi, un mestiere come un altro, un artigianato, al limite una ricreazione pomeridiana per nobili rampolli. Di rado, nel Settecento, era considerata un’arte, come lo sarà da Beethoven in poi: i musicisti, anche a corte, erano considerati dei domestici e mangiavano con la servitù. I teatri erano molto diversi da come li immaginiamo oggi. La Scala al primo piano aveva una bottega del caffè in cui la gente s’intratteneva a leggere e oziare mentre venivano preparate bevande calde da servire nei palchi; al secondo piano c’era una cucina e una pasticceria e dei camerini per le cene, con gli aromi delle pietanze a spandersi per tutto il Teatro; al terzo piano c’era una stanza per i commerci, come la Borsa di oggi, e una galleria dei giochi dove la gente litigava e non di rado si accoltellava. In ogni palco non mancavano i liquori e un braciere per cucinare o per scaldarsi, e le tende, rivolte verso il palcoscenico, si potevano chiudere così da farsi gli affari propri. La musica, intanto, andava. Nel complesso, un baccano d’inferno: tra sguardi e ventagli, l’arte si mischiava all’intrattenimento, e nei teatri, illuminati con splendidi lampadari in argants, i borghesi e gli aristocratici si ritrovavano anche per fare un po’ di casino. Però quello che dici è molto parziale. Vale per l’opera buffa. Mozart non lo è già più. IO stesso Mozart preferisco sentirmelo a casa, per dire. Ma per Wagner? I testi erano mostruosamente lunghi ed elaborati (raramente in rima) eppure li scriveva lui stesso, e ascoltare le sue opere mille volte (come pure faccio) non vale vederla una volta dal vivo, sempre che la regia non lo ammazzi come alla Scala è accaduto è accadrà nei due anni prossimi.

 Massimo Zamarion: Innanzitutto, caro Facci, sarà curioso di sapere cosa le avrei fatto se non si fosse espresso “in modo infelice”: be’, le avrei “strappato con le mani la zazzera biondiccia”. Questo avevo in anima di fare. Ma a parte questa doverosa precisazione, la sua garbata risposta merita la verità. Quest’articoletto è frutto di una vendetta. Sì, vergogniamoci per Zamarion! Lei in giorno, in un articolo su una lista di 100 dischi da “possedere assolutamente” proposta da Marco Pasetto, scrisse che l’Aleksandr Nevsky del mio amato Prokofiev faceva “scappar la gente per sempre”. Anche qui non era chiarissima la cosa: forse voleva dire che la musica, la bellissima musica, dell’Aleksandr Nevsky, di quel capolavoro dell’Aleksandr Nevsky, era troppo impegnativa o fine per sedurre un neofita anche di innato buon gusto? Siccome però è musica tutt’altro che cerebrale, ma piena di melodie accattivanti, a me parve che l’Aleksandr Nevsky facesse scappare lei a gambe levate. Scorrendo la lista scoprii poi che lei era un fan di Shostakovich e un detrattore di Stravinsky, il grande Igor, che sta più in alto anche di Berlusconi nella mia personale lista dei più grandi nanerottoli della storia. Avendo l’immaginazione fervida, questa mi sembrò una dichiarazione di guerra e l’uomo del sottosuolo che è in me se la legò al dito. E veniamo all’Opera. Quello che mi dà sommamente fastidio quando si parla di Opera, e che mi sembra un grave errore pedagogico se si vuole avvicinare la gente alla musica “classica”, è che tutta l’attenzione viene rivolta agli interpreti, alla direzione, alla scenografia, ai cantanti, ai “personaggi”, al dramma. Non si finisce più di parlare di chi è Don Giovanni, di chi è Tosca, o di chi è Scarpia. Ed è una noia mortale. Sembra che tutto dipenda dall’esecuzione o da quello che in un’opera – musicale – in ultimissima analisi rimane secondario. E’ tutta roba frigida. Possibile che un capolavoro o un buon pezzo musicale non sappia sopportare una zotica esecuzione? Possibile che la bellezza in mani maldestre sfugga ad un orecchio sensibile? Io non lo credo affatto. Possibile che i critici invece di chiacchierare all’infinito sul “significato” di un’opera, o di quel tal personaggio della malora, e su come dovrebbe essere interpretato, non si adoperino invece a cercare di cogliere e comunicare a parole la segreta musica della musica di Mozart, o la segreta musica della musica di Tchaikovsky? (Io mi sono avvicinato alla musica classica così: ascoltavo un LP degli Area, anni settanta; sul retro, non so per quale strana contro-operazione culturale c’era un pezzetto intitolato: “Il massacro del terzo brandeburghese”, due minutini di musica massacrata per benino. Io ne fui folgorato. Così nel negozio di dischi dove andavo di solito cominciai a frugare negli scaffali dedicati alla musica classica, con la nonchalance sospetta di chi cerca le riviste porno. Trovai i Brandenburghesi diretti da K. Richter, due sontuosi LP della Archiv. Solo dopo qualche mese ebbi il coraggio di comprarli. Avevo 14-15 anni. Non guardai in faccia il negoziante, che sicuramente mi guardava strano. Ma dopo fuggii felice.) Ecco, è per tutto questo che quando lei ha scritto che per Mozart l’Opera è teatro allo stato puro io ho voluto interpretarla a modo mio. Quanto alla Gesamkustwerk, come ho già scritto nel mio blog che conta la bellezza di 150.000 contatti dopo soli cinque anni, mi sembra cosa astratta e tirannica. Si può dire certamente che in certe cose Wagner è un mago. Con la sua musica sembra sempre di essere immersi in qualche liquida profondità oceanica, dalle mille sfumature, e quando non si è lì sotto, sembra di svolazzare tra le nuvole, tra venti e brezze contrastanti. Questo imponente moto ondoso sinfonico, continuamente rimodulato e sempre sottile, ma soprattutto certi improvvisi, ascendenti rapimenti melodici, portati allo spasimo, hanno segnato la storia della musica nel secondo ottocento. Quasi tutti gli debbono qualcosa. Ma questo è – per me – quello che rimane. Non la Gesamtkunstwerk. Quindi di Wagner mi piacciono, ahinoi, gli “highlights” (a parte la terribile e bolsa cavalcata della Valchirie). Le sue opere sono un brodo tremendamente allungato, tremendamente enfatico, malgrado i miracoli del cuoco. (Ma forse a guardarle dal vivo, chissà che riesca a non addormentarmi). In più un’opera lirica a me deve piacere anche se non capisco niente di quello che vi succede. Quello viene sempre dopo. Questa è sempre stata la mia opinione. E non ho ancora cambiato idea. Perlomeno, converrà, è mia. Ringrazio dell’attenzione. Io la seguo spesso con simpatia. Mi dispiace però che sia così anticlericale. E sulla musica ho capito che siamo, in quanto a gusti, su fronti contrapposti.


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