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Una spola di filo blu

Creato il 18 febbraio 2016 da Libereditor

Una sera di luglio del 1994, Red e Abby Whitshank ricevettero una telefonata dal figlio Denny. Era tardi, si stavano preparando per andare a letto. Abby, in sottoveste davanti al comò, sfilava le forcine dalla sua disordinata crocchia color sabbia; Red, un uomo scuro, magro, in pantaloni del pigiama a righe e maglietta bianca, si era appena seduto sul bordo del letto per sfilarsi i calzini. E così, quando il telefono squillò sul suo comodino, fu lui a rispondere. «Casa Whitshank» disse.
E poi: «Oh, sei tu, ciao».
Abby girò le spalle allo specchio con le mani ancora nei capelli.
«Cosa» disse Red senza punto di domanda.
E poi: «Eh? Oh, Denny, ma che cavolo…»
Abby lasciò cadere le braccia.
«Pronto?» disse Red. «Aspetta. Pronto? Pronto?»
Rimase in silenzio per un momento e poi riagganciò.
«Cosa c’è?» gli chiese Abby.
«Dice che è gay.»
«Cosa?»
«Ha detto che doveva dirmi una cosa: che è gay.»
«E tu gli hai sbattuto il telefono in faccia?»
«No, Abby. È stato lui a sbattere il telefono in faccia a me. Io ho solo detto: ‘Ma che cavolo’ e lui ha riattaccato. Clic! Così.»

usdfbCon fresca e ariosa leggerezza, per anni, Anne Tyler è stato un’eccellente osservatrice delle idiosincrasie e delle fragilità umane.
In questo delizioso e commovente (e maledettamente realistico) romanzo ci presenta la famiglia Whitshanks con la madre Abby, il padre Red e i loro quattro figli ormai già adulti che, come la maggior parte delle famiglie, non sempre vanno d’accordo e certe volte hanno segreti inconfessabili.
Leggendo queste storie così realistiche siamo in grado sia di ridere che di piangere perché questa famiglia, con tutti suoi componenti, ci ricorda in qualche modo le nostre, quelle che conosciamo e amiamo.

C’era qualcosa che non andava in Abby, se non moriva dalla voglia di trascorrere ogni minuto libero con i suoi nipoti? In fondo li amava, no? Li amava così tanto da avvertire una specie di vuoto sulla superficie interna delle braccia tutte le volte che li guardava, il desiderio doloroso di averli vicini e tenerli stretti a sé. I tre ragazzini erano un groviglio inestricabile, sempre definiti collettivamente come un’unica entità, ma Abby sapeva bene quanto fossero diversi uno dall’altro. Petey era il più apprensivo, e dava ordini ai suoi fratelli non per cattiveria, ma per un istinto di protezione, di branco; Tommy aveva la natura solare del padre e le sue capacità diplomatiche, mentre Sammy era il suo piccolino, ancora con il suo profumo di succo d’arancia e pipì, ancora felice di starle in braccio e farsi leggere una storia da lei. E poi c’erano i più grandi: Susan, così seria, affettuosa e bene educata — ma era del tutto a posto? — e Deb, identica a come era Abby alla sua età, curiosa come una bertuccia, e il povero e maldestro Alexander, che ce la metteva tutta e le straziava il cuore, e poi Elise, così diversa da lei, così totalmente altra da farla sentire privilegiata di poterla vedere così da vicino.
Ma era più facile, per qualche motivo, pensare a tutti loro da lontano che trovarsi a stretto contatto, costretta a farsi spazio in mezzo a loro.

Anne Tyler, Una spola di filo blu, traduzione di Laura Pignatti, Guanda 2015.


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