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I diamanti sono conosciuti fin dall’antichità, quando erano considerati amuleti in grado di sciogliere gli incantesimi o rivelare la verità.
Per la loro durezza (in greco “adámas” significa “indistruttibile”) erano apprezzati anche come strumenti di incisione, mentre l’uso come gioielli era limitato dalla difficoltà di lavorare queste pietre. Per lungo tempo infatti i diamanti furono pietre opache. Solo dal XVII secolo venne messo a punto il metodo per tagliarli a brillante.
Per molti secoli l’unica fonte di estrazione dei diamanti fu l’India. Da qui lungo le rotte carovaniere venivano esportati nel resto del mondo. Era un viaggio lungo e difficile. Nel 1638 il gioielliere francese Jean-Baptiste Tavernier si recò in India e aprì al commercio mondiale le miniere di diamanti della mitica Golconda. Qui però s’imbatté anche in un diamante dalla fama sinistra.
È il famoso o famigerato diamante Hope. Si dice che fosse uno degli occhi di una statua della dea indù Sita e che Tavernier l’abbia strappato deturpando l’idolo. Forse a causa del sacrilegio si dice che il diamante abbia portato una tremenda sfortuna a chiunque l’abbia posseduto. I più famosi furono il re di Francia Luigi XVI e la moglie Maria Antonietta che finirono entrambi decapitati dai rivoluzionari francesi, ma l’elenco delle morti tragiche, dei suicidi e delle disgrazie economiche tra gli sfortunati possessori è davvero impressionante.
La Rivoluzione Francese compare anche nella storia di altri diamanti, questa volta piemontesi, non per l’origine ma per la collocazione su un oggetto di grande importanza per la storia piemontese.
Nel Settecento i Savoia, che avevano ricevuto il titolo di Re di Sardegna fecero realizzare una preziosa corona in oro, diamanti, pietre preziose e velluto rosso, sormontata da una croce di San Maurizio e decorata alla base a nodi di Savoia.
La corona fu utilizzata per l'incoronazione di Vittorio Amedeo III di Savoia nel 1773 e compare in tutti i quadri dei re successivi, ma solo come simbolo, in quanto il prezioso oggetto era scomparso. Dopo che i rivoluzionari francesi avevano giustiziato il re, la regina e molti aristocratici, le potenze europee avevano deciso di intervenire per soffocare la rivoluzione e ristabilire l’ordine. Anche i Piemontesi parteciparono all’impresa.
Sulla strada delle sue armate Vittorio Amedeo III incontrò però un giovane generale francese di origine corsa, un certo Napoleone Bonaparte. I Piemontesi furono duramente sconfitti, Torino fu occupata, il re morì di un colpo apoplettico e la corona fu rubata dai Francesi, che fusero l’oro e vendettero le singole pietre. La corona non venne ricostruita nemmeno dopo la caduta di Bonaparte e la Restaurazione. Così i successivi re di Sardegna si limitarono a farla dipingere come simbolo nei quadri che li raffiguravano.
Nell'immagine Vittorio Amedeo II con la corona del Regno di Sardegna.
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