Cos’hanno in comune Walter Blaas, Roberto Bizzo e Alessandro Urzì? A prima vista la risposta è facile. Si tratta semplicemente di consiglieri provinciali, sia di maggioranza che di opposizione, impegnati nel lavoro per il quale sono stati eletti un anno e mezzo fa.
Considerando l’attualità, c’è però un tratto ulteriore da sottolineare in via ipotetica: forse il ruolo di consiglieri non li appaga come dovrebbe, non dà loro sufficiente spazio di manovra, visto che tutti e tre hanno di recente manifestato l’intenzione di correre per la poltrona di sindaco nelle prossime elezioni comunali (il primo a Bressanone, gli altri a Bolzano). Ancora troppo circoscritto per poter far parlare di una tendenza generalizzata, il fatto appare comunque preoccupante e, a mio avviso, serve a spiegare la presente crisi della politica, in particolare del suo ceto dirigente.
L’impressione è che ormai tutto avvenga senza una previa nonché ponderata selezione, secondo criteri che possono essere poi scompaginati e ritrattati in qualsiasi momento, sopperendo opportunisticamente e con affanno alla mancanza di candidati utili a ricoprire le diverse cariche in modo adeguato. Anche il caso dei Verdi e Sel, che per fortuna non hanno ancora mobilitato nessun consigliere provinciale sul territorio, esprime una piega della medesima tendenza: auspicavano, anzi persino richiedevano a gran voce che venisse adottato il metodo delle primarie di coalizione, ma quando il Pd ha dato l’assenso, risolvendo non senza sbavature la “grana interna” costituita per l’appunto dalla candidatura di Roberto Bizzo, ci si è accorti che stavolta il cilindro magico, dal quale trarre il nome da spendere nella competizione democratica, era desolatamente vuoto e toccava armarsi della lanterna di Diogene.
Come si è arrivati a questo punto così basso? Hanno ragione quelli che lamentano l’eccesso di professionalizzazione della politica, avanzando l’idea che tanto a girare sono sempre i soliti personaggi, in una giostra di posizioni addirittura intercambiabili? Oppure dobbiamo pensare che a mancare sia proprio il senso profondo di una professione ormai smarritasi nell’esame estemporaneo di un curriculum, di un sondaggio di opinioni online, come se per assurgere a determinate posizioni non sia invece indispensabile passare attraverso molteplici prove sul campo, magari d’intensità e difficoltà crescente?
Due facce della stessa deludente medaglia, a ben vedere, con l’ovvia conseguenza di aprire sempre più il varco alla sfiducia e alla non soluzione dell’astensionismo.
Corriere dell’Alto Adige, 28 febbraio 2015