di Marcello Madau (*)
e la statua crisoelefantina dell’Athena Parthenos, che stupiva con il suo favoloso scudo e i suoi dodici metri chi entrava nella cella del Partenone, fosse ancora presente, gli accusati di grattarne nottetempo l’oro e l’avorio non sarebbero come un tempo Pericle e Fidia ma – questa volta giustamente – i tre corsari della troika della Comunità Europea.
Nella richiesta greca dei danni di guerra appaiono ora anche i furti dei beni archeologici, ma vorrei illustrare come il problema sia decisamente più ampio, come apra una prospettiva interessante nella quale si incrociano il valore incalcolabile della storia con quello più misurabile di incassi e fideiussioni. E una curiosa interscambiabilità fra i ruoli di creditore e debitore.
Senza addentrarci in discorsi complessi, importanti ma lontani (come il debito di civiltà che avremmo verso la Grecia), possiamo limitarci alla contemporaneità: essa ci fa dono nel 2010 di un momento di grande valore simbolico: quando la Finlandia propose di pignorare il Partenone a garanzia del debito pubblico greco. Misura da vera economia classica, spietata e glaciale ma con il pregio, direi involontario, di riconoscere il valore dell’archeologia greca e dei suoi straordinari monumenti rispetto al debito enorme che la Grecia avrebbe verso l’Europa.
In effetti quanti capolavori greci nei grandi musei della terra! In quegli stati europei che, per mano dei tre corsari cercano di strangolare l’Ellade antica e contemporanea: non tutti vengono da accordi virtuosi, molti episodi assomigliano a veri e propri furti, di Stato o individuali.
Una parola d’ordine, che in casi analoghi spesso risuona, è che le opere d’arte trafugate più o meno legalmente dovrebbero rientrare nei paesi d’origine. Eppure questi musei sono diventati luoghi universali, luoghi anche nostri grazie a queste opere. E la circolazione dei beni artistici è un fatto di cultura persino caldeggiato nei diligenti documenti europei.
D’altronde è difficile immaginare un British Museum di Londra senza opere greche o i bassorilievi assiri, ragionamento valido per il Louvre e tanti altri celebri complessi espositivi.
Molti proprio della Germania, da Monaco a Berlino a Karlsruhe: pensate ai kouroi dello Staatliche Museum, dello Altes Museum, della Gliptoteca; della Francia è celebre la splendida dotazione del Louvre: kouroi, due sculture «acquisite» dal Partenone, l’abbacinante «Cavaliere Rampin», solo per ricordarne alcuni; della Gran Bretagna, con il succitato British e i celebri elementi decorativi dal Partenone, dall’Eretteo; con le ceramiche e nuovamente i kouroi. Ancora, visto l’interesse dell’America per il debito greco, esempi come il Paul Getty, il MoMA, fino alle collezioni del Museo di Kansas City…
E c’è l’Italia, proprio nella Firenze di Matteo Renzi, se pensiamo ai due splendidi kouroi Milani e Milani-Barberini, esposti nel Museo archeologico nazionale.
Solo onore per la Grecia allora? Perché non qualche diritto in più, anche economico? L’economia dei beni culturali ci può aiutare a trovare una possibilità, sia nella sua straordinaria tensione fra valore d’uso e valore di scambio in manufatti che dovrebbero essere «fuori mercato», beni comuni — e invece non lo sono, fra traffico clandestino, antiquaria ed aste — sia nella più corretta lettura dei settori collegati alla fruizione.
Qualcuno (più vicino alla troika) potrebbe obiettare: pubblicità per quei paesi, se ne accresce la fama, la gente viene indirizzata verso di loro. Ma è più semplice, sicuro e tangibile, valutare i grandi introiti di quelle città e di quei musei: grazie alle opere dell’antica Grecia. Perché non provare a fare due conti?
(In fondo vi è qualche timida consapevolezza degli aspetti finanziari delle collezioni museali anche in vari documenti della Comunità Europea, come il «Lending to Europe» del 2005, la «Council resolution» del 25 giugno 2002 e naturalmente le premesse così sensibili del Trattato di Maastricht 1999, art. 151 e punto 3.2.2).
Si potrebbe allora nominare una «troika» di archeologi: uno della Grecia, uno della Magna Grecia, uno della Libia (Cirene); poi stabilire il valore di ogni opera, tra quello assicurativo in caso di spostamento e le opere di mano d’opera specializzata e comune per realizzarlo oggi (ma con gli strumenti di allora).
Infine calcolare, sulla base dei parametri di riferimento ufficiali, il costo relativo ai prestiti di natura onerosa, lungo i molti decenni (in alcuni casi di secoli, come per i marmi «Elgin» del Partenone), basandosi su valori desunti dal calcolo dei flussi dei visitatori, dagli introiti di biglietteria e dai redditi complessivi dell’unità museale (merchandising, ristorazione, book shop: magari sulle pubblicazioni regolarmente vendute oltre le duemila copie, come recita ad esempio la legislazione italiana: il nostro Presidente del Consiglio potrebbe far contare un po’ di più l’Italia in questo senso).
Infine, analizzare la valutazione economica dei vantaggi ‘a rete’, la crescita dei prezzi fondiari nelle zone attorno ai grandi musei dopo la loro inaugurazione, gli incassi dei trasporti e insomma tutti i sistemi economici ad essi relativi. Un calcolo davvero interessante, una somma che potrebbe sorprendere….
Sarà disposta la Grecia a concedere qualche dilazione ai paesi europei che hanno contratto un debito culturale di questa dimensione? Panta rei.
(*) Marcello Madau è archeologo e professore di “Beni culturali e ambientali” all’Accademia di Belle Arti “Sironi” di Sassari
Fonte: il Manifesto