Sentire sotto ai piedi la terra bagnata ed eccessivamente morbida era il chiaro segno che per troppo tempo non aveva fatto che piovere. I raggi del sole, i primi dopo tanti giorni di nuvole grigie e di pesanti gocce d’acqua, davano fastidio agli occhi. Tanto, da sentire la necessità di schermarli con una mano.
La piccola Viola stava camminando, insieme con la zia. Il verde del grande prato tutt’intorno era tutto ciò che i suoi occhi di bimba riuscivano a percepire. Avrebbe voluto portare con sé l’aquilone, ma il vento non era abbastanza forte dal lasciare sperare che sarebbe riuscito ad alzarsi in volo. Per questo, allora, si era accontentata di fare uscire di casa il vecchio, fidato Tobia. Tobia era un peluche a forma di cane che, nonostante l’aspetto pulito e leggermente arruffato, ne aveva già viste di tutti i colori. Era stato per Viola il primo, morbido regalo e – a sconcerto di chi le aveva regalato per il compleanno qualcosa di decisamente più moderno, colorato e accattivante – quel peluche era stato da subito tutto ciò che Viola aveva sempre voluto avere con sé. Guai a uscire di casa per seguire la mamma al supermercato, se anche Tobia non era nel passeggino. Assolutamente no al fatto di prendere in considerazione l’idea di andare a trovare i nonni nella casa di campagna (dove poi – di solito – Viola e genitori avevano l’abitudine di fermarsi per un giorno intero), se anche Tobia non era stato caricato in macchina insieme a tutto il resto.Viola e Tobia facevano colazione insieme, giocavano sul divano insieme, si divertivano a fare le capriole sul pavimento insieme, insieme guardavano la televisione prima e dopo aver cenato e – sempre insieme – si coricavano nel piccolo, accogliente letto della bambina; per dormire quel tanto che bastava a due spiriti energici come i loro, prima di una nuova, grande giornata di avventure domestiche.Nonostante questo però… non v’era dubbio che non solo Viola non ne avesse ancora abbastanza di Tobia, ma anche che… Tobia non sembrava essere ancora tanto stanco da accettare tranquillamente l’idea di essere messo da una parte. Nessuno dei due, per dirla con poche parole, sembrava avere la minima intenzione di fare a meno della buona compagnia dell’altro.Viola era una bimbetta sveglia. Capelli ricci, biondi e lunghissimi. Un nasino buffo e quasi sempre arrossato, che in molti si divertivano a chiamare ‘nasino patatino’. Non che le dispiacesse. Oltre a non essere una bambina permalosa, Viola incarnava tutto ciò che un bambino di quell’età dovrebbe essere. Quando la scuola è una realtà ancora abbastanza lontana, ma non si è nemmeno tanto piccoli da non capire il verso delle cose. Anzi... quando si è piccoli, si possiede il dono di vedere il mondo con occhi speciali e anche il cuore reagisce sempre bene (o quasi) a tutto ciò che ci viene riservato. Per questa ragione, quando zia Lucia richiamò la sua attenzione utilizzando proprio quelle due strambe parole, Viola non fece un frizzo. Si limitò prima a guardarla, in un secondo momento le sorrise e, alla fine di tutto, le si avvicino tanto da arrivare a prenderla per mano; per convincerla a fare una corsa insieme. Qualcosa le diceva che la zia non era del umore giusto, ma Viola evitò di chiederne il perchè.Inizio a correre velocemente. Tanto velocemente, che zia Lucia faticava sul serio a starle dietro.In men che non si dica, cominciarono ad avere il fiatone. Ma non per questo Viola si decise a rallentare. Correre era una delle cose più belle al mondo. E quando capitava di poterlo fare in un grande prato, era quanto di meglio si potesse desiderare per una corsa.Viola correva e sorrideva, sperando che anche zia Lucia riuscisse a fare altrettanto. A volte correva in circolo, a volte correva a zig-zag, altre volte – ancora – correva andando verso la strada. La bimba cercò di lasciarsi andare più che poté e fu felice quando, guardando per l’ennesima volta in direzione della zia, si accorse che l'espressione del suo viso si era addolcita.L’aria stava perdendo lentamente l’odore della pioggia, ma non si poteva comunque negare che a tratti si sentisse il tipico aroma della terra bagnata. Insieme, continuarono a correre ancora per un po’. Fino a che Viola decise di fermarsi di nuovo e di stringersi di nuovo a Tobia. Povero, tenero Tobia. Non v’era dubbio che quella corsa doveva averlo sballottato troppo!«Che dici zia… pensi che durerà questo bel sole?». La nipotina avrebbe voluto sedersi sull’erba, come faceva sempre dopo una corsa all’aria aperta, ma… proprio non era il caso di sporcarsi. Poi… chi le avrebbe sentite le urla della mamma alla vista dei pantaloni macchiati di fango?«Potrebbe. In fondo… dopo tutta questa pioggia…». Lucia sorrise per la prima volta, quel giorno. Lentamente, anche i raggi del sole cominciavano ad essere meno fastidiosi. «Sarebbe bello poter pensare che sia in arrivo la bella stagione, ma… potrebbe anche piovere di nuovo». La zia rimase a guardare Viola che continuava a muoversi sulle gambe, come faceva sempre quando avrebbe voluto fare qualcosa di diverso da quello che stava facendo.«Ti va di camminare ancora un po’, prima di andare al bar a prendere una cioccolata calda?». «Io e Tobia vorremmo arrivare fino al dondolo del parco, va bene?». La nipotina rimase a guardarla. Poi, al sorriso della zia, iniziò a correre.Il dondolo non era lontano. Quando anche Lucia lo raggiunse, Viola era già seduta sopra alla panchina di ferro e si stava dondolando.Lucia non ricordava l’ultima volta che le era capitato di dondolarsi su qualcosa del genere, ma guardare la nipote divertirsi tanto la fece sorridere per l’ennesima volta. Guardava lei, il fedele Tobia e…«Che cosa stringi nella mano?». La mano della bimba era chiusa a pugno e per un attimo Lucia temette che potesse aver raccolto per terra qualcosa che non avrebbe dovuto toccare. In un attimo si sentì il cuore schizzare nelle tempie e riuscì a tranquillizzarsi solo dopo che la nipotina le lasciò vedere che cosa custodiva tra le dita.«Una violetta? Dove l’hai trovata di questi tempi?». Viola lasciò Tobia da solo sul dondolo e portò la zia fino alla fontanella d’acqua che c’era nel parco.Poco lontano dalla colonnina di metallo con il rubinetto, tra il verde delle foglie a forma di cuore, piccole teste viola da cinque petali sbucavano in qua e in là. D’improvviso, allora, Lucia ebbe come l’impressione che in quel punto preciso l’aria avesse un odore buono; quello tipico della primavera. Avrebbe voluto sedersi sopra ai fili d’erba e immergere il naso in quella strana nuvola multicolore, ma non lo fece. Limitandosi a raccogliere un fiore, disse solamente: «Lo sai che le violette si possono mangiare?». Quelle parole furono come la chiave per una porta sul passato.Lucia era piccola. La sua piccola mano nascosta e protetta dentro a quella più grande e segnata dal tempo del nonno. Come quella mattina, anche allora il sole aveva deciso di tornare a fare il suo mestiere, dopo giorni e giorni di pioggia e di freddo. L’oliveto di famiglia contava diverse, grandi piante. Ma, una in particolare era la preferita di Lucia. Non perché avesse foglie diverse dalle altre o, quando d’autunno arrivava la stagione delle olive, perché si riempisse di olive speciali; rispetto agli altri alberi d’olivo. Ma… perché buona parte del pedale della pianta era cavo e, dentro a quella cavità in parte ricoperta di muschio, si nascondevano agli occhi di chiunque passasse di lì (per una passeggiata, per raccogliere funghi, asparagi, more o altro) alcune giovani pianticelle di violette. Il nonno le aveva piantate per lei. « È un fiore molto speciale, le aveva detto non appena furono fiorite per la primissima volta. È il fiore dei desideri». Lucia aveva sempre saputo interrogare le margherite, con quel gioco meticoloso della conta dei petali. Sapeva che anche imbattersi in una coccinella poteva essere segno di buon auspicio. Ma, delle violette… No! Della magia celata tra i petali di una violetta, non aveva mai sentito parlare.Eppure… non ebbe esitazione alcuna quando il nonno, porgendogliene una dall’intenso colore viola e dal fortissimo buon profumo, le disse: «Mangiala ed esprimi un desiderio. I desideri sono questioni speciali, mia cara. E non si possono affidare solo alle stelle. Come esseri umani, abbiamo il dovere di fare di tutto per essere felici. Ed avere dei desideri e dei sogni in cui credere è forse l’arma più forte che ci è stata data… dopo la Fede». Lucia chiuse gli occhi, stringendo il piccolo fiore tra le dita. Rimase immobile un attimo ad ascoltare i pensieri del cuore e, non appena la mente ebbe trovato le parole giuste per esprimere le sue speranze di bimba, aprì la bocca ed inghiottì il fiore. Il nonno fece altrettanto.Non seppe mai cosa il nonno avesse desiderato in quel momento, né mai rivelò a qualcuno cosa lei stessa avesse chiesto alla sua violetta. Lucia sapeva di essere stata fortunata e questo le bastava.Viola sgranò gli occhi dalla sorpresa e continuò a guardare la zia.«Proprio così… nasino patatino! La violetta non solo è un fiore che si può mangiare, ma… mangiandolo puoi affidarle un desiderio. Vorresti provare?». Zia Lucia raccolse altre due violette dal piccolo branco di fiori e mentalmente si trovò a ringraziare il cielo che quel parco, almeno per quel che riguardava quella parte riservata ai giochi all’aperto per bambini di tutte le età, fosse interdetto agli animali. Non che una violetta cresciuta all’aperto, all’ombra di una pianta d’olivo poco lontano da casa, fosse di per sé più pulita di una violetta nata in un parco cittadino, ma… poco, ma sicuro, sarebbe stato peggio avere il sospetto che qualche cane avesse scelto proprio la zona delle violette accanto alla fontanella, per i propri bisogni.Ad ogni modo… per esserne ancora più certa di non stare facendo qualcosa di sbagliato, Lucia aprì il rubinetto dell’acqua e diede una vigorosa sciacquata ai due piccoli fiori. Tolse le parti verdi che erano di troppo e le due violette erano pronte per essere mangiate.Chissà se quelle due violette erano consapevoli che sarebbero diventati le custodi di due sogni?Lucia si ritrovò a domandarselo, mentre osservava la piccola mano di Viola che era già aperta davanti a sé e mentre sorrideva alla nipotina, che sembrava aver dimenticato qualsiasi altra cosa e stava aspettando con pazienza solo di poter sperimentare quel qualcosa di nuovo.«Sei pronta? Hai pensato bene a che cosa desiderare? Sei proprio sicura, sicura… che sia il desiderio giusto?».Viola fece di sì con la testa. Una sola volta, per lasciare intendere comunque un sì collettivo, in risposta a tutti quegli interrogativi.Allora…
Violette nelle mani…Occhi chiusi…Desideri nel cuore…Nella bocca, il sapore di quel piccolo fiore era particolare. Dolce, ma non stucchevole quanto sarebbe quello di una zolletta di zucchero. Era molto di più simile al dolce sfuggente di una sola goccia di miele poggiata sulla lingua. Quel tipico sapore dolce, che non fai in tempo ad avvertire che è già sparito.Anche la consistenza era interessante. Per quanto fosse ben poca cosa da mandar giù, aveva la croccantezza tipica dell’insalata. Quel tipico stridore tra i denti, che hanno le cose verdi e crude. Quel tipico scricchiolio ad ogni masticata, che per qualcuno (per fortuna, non per Viola) rappresentava un vero e proprio fastidio e una ragione più che valida per tenere alla larga dal piatto simili pietanze.Lucia rimase ad osservare la nipotina, mentre la sua viola era già sparita dalla bocca per arrivare allo stomaco insieme al suo desiderio.«È tutto ok?». Le chiese.Viola aveva faticato un po’ con un petalo, che sembrava non volerne sapere di staccarsi dal suo palato. Ma, a parte quello, era tutto ok.La bimba prese di nuovo la zia per mano. La riportò accanto al dondolo dove Tobia era rimasto ad aspettarle e, riacciuffato anche l’amico peluche, la trascinò verso l’uscita del parco.Una nuova corsa. Un nuovo fiatone. Con il sole brillante sopra alle loro teste, che ad ogni minuto che passava si faceva sempre più caldo. Forse… era giusto sperare che la primavera stesse arrivando; alla barba di chi continuava a piagnucolare l’arrivo fuori stagione del freddo.Lucia sorrise al cielo, certa che il nonno le stesse guardando e che approvasse quella mattinata di assoluta spensieratezza. «Sono sicura che Viola sarà una grande sognatrice. Proprio come te… nonno!». Lo disse tra i denti, ma ad alta voce. Amava la possibilità di dare sonorità ai propri pensieri e lo faceva tutte le volte che riteneva giusto e opportuno farlo.
Strinse più forte la piccola mano della nipotina. Una bella cioccolata calda le stava già aspettando da qualche parte. Correre… correre… correre!